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Piacere, il mio nome è Italicum

Claudio Cerasa
Salve a tutti, piacere, mi chiamo Italicum, sono la nuova legge elettorale, lo strumento intorno al quale è nato un anno fa questo governo, sono la figlia concepita gioiosamente a Largo del Nazareno il pomeriggio del 18 gennaio 2014 durante un incontro furtivo e amoroso tra il dottor compagno segretario e il dottor Berlusconi.

Salve a tutti, piacere, mi chiamo Italicum, sono la nuova legge elettorale, lo strumento intorno al quale è nato un anno fa questo governo, sono la figlia concepita gioiosamente a Largo del Nazareno il pomeriggio del 18 gennaio 2014 durante un incontro furtivo e amoroso tra il dottor compagno segretario e il dottor Silvio Berlusconi. Sono stata utilizzata nei miei primi giorni di vita come una mazza ferrata adottata dal dottor Renzi per lasciar poco sereno il dottor Enrico Letta a Palazzo Chigi e sono una creatura particolare che per il modo in cui sono stata concepita da mamma Matteo e papà Silvio non posso che essere divisiva, un po’ birbante, un po’ birichina direbbe papà, ma non per questo da buttar via. La mia carta d’identità forse la conoscete, e seppure in pochi mesi di vita ho subito più ritocchi del mio babbo in una vita, oggi mi presento così. Ve la faccio breve: sono un sistema elettorale a trazione bipolarista, stavo per dire bipolare ma forse è eccessivo, che vuole forzare l’attuale sistema politico caratterizzato da un tripolarismo di fatto attraverso un trucco tecnico che potrà permettere a chi arriverà primo alle elezioni di avere una maggioranza sufficiente per governare #serenamente senza doversi più inventare maggioranze eccessivamente eterogenee.

 

Sì, lo so, sono una legge un po’ paracula perché se fossi coerente con me stessa, con l’idea con cui sono stata concepita, avrei dovuto asfaltare – mia mamma dice così – tutti i piccoli partitini e invece alla fine gli concederò di essere comunque rappresentati, quando sarà. E lo so, sì, sono una legge imperfetta perché ho alcuni punti in comune con un’altra legge che è un po’ una mia cugina, e che voi chiamate Porcella, e anche io, come la Porcella, sono birichina perché ho molti posti bloccati nella mia lista e ho una capacità non immediata di scegliere i deputati che si vogliono in Parlamento. E’ andata così perché papà e mamma hanno questa fissa di non fidarsi di nessuno e credono, così mi hanno detto, quando erano ancora innamorati e non ancora divorziati, che sia doveroso poter comandare nei prossimi gruppi parlamentari più di come non sia adesso, e senza essere ostaggi di correnti e correntine (che di solito fioriscono e sbocciano attorno a quella strana parola che vedo tornata molto di moda anche tra chi la considerava poco bene tempo fa: preferenze). Sono fatta così, sono una legge un po’ forzata e un po’ forzuta, una legge che non piace a chi si augura che il presidente del Consiglio debba essere scelto – possiamo dirlo? – più dagli elettori che dal presidente della Repubblica e sono una legge che non piace e non piacerà a tutti coloro che vedono con preoccupazione l’idea che sia necessario fare per il paese qualcosa che – anche in modo coatto, mi verrebbe da dire – porti il nostro sistema sulla strada del bipartitismo.

 

Papà e mamma la pensano così: con due grandi partiti il paese può funzionare meglio, e credo sia per questo che nella mia carta d’identità abbiamo scritto quella parola che ha fatto incazzare parecchia gente: il premio alla lista e non alla coalizione. Ovvero: il premio di maggioranza – che arrivi al primo turno o arrivi con il ballottaggio – va alla lista che prende di più e non alla coalizione che prende di più. Su questo, devo dire la verità, mamma Matteo era più convinta di papà Silvio, perché il partito di mamma è più forte mentre quello di papà, che non se la passa bene, per essere competitivo avrebbe bisogno di mettere insieme le forze, di tirare su una coalizione tra piccoli partiti che difficilmente, invece, potrebbero accettare di presentarsi alle elezioni sotto un unico cartello (ma la politica, mi insegnate voi, è imprevedibile e qualcosa alla fine ci si inventa sempre). E’ vero. Sono la cugina della legge porcella e dunque so bene che a tanti non piacerò e che tanti si tapperanno il naso quando mi vedranno passare. Ma credo che voi dobbiate rassegnarvi al fatto che ormai è andata, ci sono, arrivo. La mamma – che ultimamente non si prende più con il papà, sob – ha scelto di tenermi nonostante il mio paparino si sia allontanato, e ha scelto di non volermi cambiare per nessuna ragione al mondo per evitare di essere fatta a pezzi in un posto che si chiama Palazzo Madama. Oggi per me è un giorno decisivo: la direzione del partito di cui fa parte mamma Matteo mi voterà e mi accetterà formalmente, e prima delle prossime elezioni regionali probabilmente diventerò legge. Wow! So che in famiglia, a casa mia, in tanti non mi vorrebbero, perché mi desiderano diversa, vorrebbero più contrappesi, vorrebbero avere la possibilità di impedire che chi vinca le prossime elezioni si prenda tutto il paese, tutto il partito, tutti i gruppi parlamentari, e vorrebbero aumentare il numero di preferenze possibili, vorrebbero dare la possibilità alle coalizioni di potersi comporre con più facilità di oggi, vorrebbero evitare che ci possa essere – addirittura! – un sistema semi dittatoriale, e in nome di questa esigenza chiedono, con dichiarazioni a caratteri cubitali, di FARE PIANO, di rallentare, di non andare così veloci. Capisco che per loro, per i parenti di mamma, si tratti di una battaglia campale, unica, e che sia questa la partita intorno alla quale dimostreranno se hanno o no ancora un’identità. Ma se l’obiezione che mi viene mossa è che un paese democratico non può avere un sistema caratterizzato da un monocamerlismo di fatto e da una legge elettorale iper maggioritaria mi viene da dire che allora, chi non mi vuole, dovrebbe fare subito ricorso alla Corte dei diritti umani per chiedere l’immediata espulsione dall’Europa di un paese notoriamente illiberale e tirannico come il Regno Unito.

 

[**Video_box_2**]Rido da sola. Ecco: questa è la mia storia e questa è la mia carta d’identità. E capisco che papà è nero perché è stato tradito da mamma – mamma, e che cacchio, e fagliela una telefonata a papà, no? – e che lui non mi riconoscerà formalmente quando verrò approvata. Ma dal momento in cui diventerò legge dello stato ci potranno essere tutte le clausole di salvaguardia possibili per farmi cominciare a camminare più in là nel tempo – anche se mamma Matteo mi ha detto che volendo qualche trucco per farmi correre prima ci sarebbe – ma sappiate che secondo me da quel momento in poi sarà certificata la nascita di una repubblica particolare: che non è l’Italia renziana o l’Italia berlusconiana ma è l’Italia che forse è un po’ porcella e un po’ birichina ma che alla fine vuole avere quello che nelle prime due repubblica ci poteva essere ma non c’è mai stato: un vero commander in chief. E se proprio dovete darmi un nome, quando verrò approvata, chiamatemi così: non prima, non seconda, non terza repubblica, ma più semplicemente Chief repubblica.
Grazie, a presto.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.