Lo stabilimento dell'Ilva di Taranto (foto LaPresse)

L'acciaio degli ayatollah

Redazione
Perché il salvataggio dell’Ilva nasce e traballa in procura a Milano.

Il superconsulente multitasking Andrea Guerra ha messo le mani avanti casomai il “percorso difficilissimo” di salvataggio dell’Ilva dovesse naufragare (“non ho nessuna sicurezza che andrà bene”, ha detto a Radio 24). Le previsioni (“entro l’estate sapremo se è salva o fallita”) passano in secondo piano rispetto ai ringraziamenti ai “pubblici ministeri che hanno fatto un lavoro straordinario per andare a sequestrare dei fondi” alla famiglia Riva (definita da Guerra “proprietaria o ex proprietaria dell’Ilva”, tutti sanno che la gestione è squisitamente pubblica da due anni). Colpisce il riferimento “ai” pm, ma solo uno merita plausi per l’attivismo: il procuratore aggiunto di Milano, Francesco Greco, è grande suggeritore della strategia governativa per il siderurgico tarantino.

 

L’input a procedere all’amministrazione straordinaria giungeva dalla procura milanese in tempi non sospetti (Corriere della Sera, 17 luglio), poi è diventato il pilastro del decreto Ilva convertito in legge il 3 marzo scorso. Greco è il “deus ex machina” (Corsera 12 febbraio) delle modifiche al testo in sede parlamentare che consentirebbero di usare, mediante un’emissione obbligazionaria, il mitico “miliardo e due” sequestrato ai fratelli Emilio e Adriano Riva per presunta truffa allo stato (le indagini non sono chiuse dopo oltre due anni) e così rimpinguare le asciutte casse dell’Ilva. Non sappiamo cosa pensano del congegno finanziario alla banca svizzera Ubs dove giace gran parte della somma. Sappiamo invece che le leggi vengono proposte non dal Parlamento o dal governo ma dal potere giudiziario (che è funzione, non potere). La Costituzione impedisce a un giudice di redigere una norma, pure a fin di bene, altrimenti è una deriva simil-iraniana di un sistema democratico.

Di più su questi argomenti: