La subalternità al grillismo nascosta nei goffi elogi della Panda di Mattarella

Francesco Costa

Una delle più buffe conseguenze dell’ubriacatura anti casta degli ultimi anni è una patologica ossessione automobilistica. Gli editoriali dedicati al mezzo utilizzato dal presidente della Repubblica non sono un fenomeno nuovo: dalla Fiat Ulysse di Enrico Letta alla Fiesta di Papa Francesco.

Una delle più buffe conseguenze dell’ubriacatura anti casta degli ultimi anni è una patologica ossessione automobilistica. Gli editoriali pavloviani innescati dalla decisione del neo presidente Sergio Mattarella di spostarsi nientemeno che su una Fiat Panda – per giunta grigia: che coraggio – non sono un fenomeno nuovo per un’opinione pubblica già travolta dalla Fiat Ulysse che Enrico Letta ebbe l’ardire di guidare personalmente sulla via verso il Quirinale, per ricevere l’incarico di governo, e poi dalla Smart con cui Matteo Renzi lo andò a trovare a Palazzo Chigi. Per non parlare della famosa Ford Focus su cui notoriamente si muove Papa Francesco, imbattibile professionista delle demagogie del mestiere. In politica i simboli sono importanti, se usati con parsimonia: definiscono facilmente sentimenti, valori e identità. E non c’è motivo di dubitare della sincerità della scelta automobilistica di Sergio Mattarella, che ha ottime ragioni per volare più in alto di noi che gli guardiamo la marmitta.

 



Quando la reazione dei media diventa però così prevedibile, e gli editoriali tromboni già letti prima ancora di essere scritti, i simboli diventano banalità e il populismo dell’automobile rivela la sua natura di scorciatoia senile, figlia di un mondo che considera ancora la macchina uno status symbol, qualcosa di cui vantarsi; e anche un po’ ingenua, perché ormai così scontata da essere manipolata da qualsiasi politico di media scaltrezza. Ormai siamo al “ti piace vincere facile”, ma è una gara che non conosce vittoria definitiva e linea di arrivo: ci siamo fortunatamente dimenticati delle foto di Antonio Di Pietro sul trattore, ma vedeste quanti “mi piace” raccolgono su Facebook le foto dell’ex presidente uruguaiano Pepe Mujica coi sandali sozzi fuori dalla sua fattoria. C’entra la sbornia delle auto blu e dei lampeggianti, certo. Ma in tempi di cosiddetta antipolitica proprio il tanto evocato “rispetto per le istituzioni” dovrebbe suggerire – tra molte riforme e sacrosanti tagli agli sprechi, ci mancherebbe altro: faster, please – anche la tutela della loro sacralità e solennità.

 

[**Video_box_2**]La famosa Panda e l’altrettanto famosa bici di Ignazio Marino in pochi mesi sono diventati simboli di goffaggine e fonti di guai, cose di cui ridere al bar. Nella politica americana invece al bar ci si racconta le storie dei consulenti e degli esperti che arrivano alla Casa Bianca con l’atteggiamento tutto d’un pezzo e si squagliano una volta varcata la soglia dello Studio Ovale. Come si fa a trascorrere i giorni pari a desiderare una classe politica di persone normali e quelli dispari a indignarsi per i deputati che giocano al Solitario con l’iPad alla quarta ora di esame dei commi della legge elettorale? Come si fa a desiderare parlamentari che somiglino al nostro salumiere e poi arrabbiarsi quando uno si porta la mortadella in Aula? Li avete voluti quelli normali? Mario Monti, su, molla quel cagnetto. La vera ragione del populismo dell’automobile è l’idea che i potenti per essere credibili debbano fingere di non esserlo: una teoria da aristocrazia imbonitrice e pietosa che pensa che gli elettori siano poveri scemi, più o meno come l’“Italiano medio” di Maccio Capatonda, e vadano quindi necessariamente trattati come tali e protetti dalla verità. Chi invece vuole davvero che incarichi straordinari siano ricoperti non da figure straordinarie bensì da persone normali, gente come noi con la station wagon e l’Arbre magique appeso allo specchietto retrovisore, non si illuda di trovare posizioni intermedie: la subalternità al grillismo non permette di adottare alcune superficialità pre-politiche e scartare severamente le altre, e la gara di purezza porta dritti verso la brigata microchip del Movimento 5 stelle. Chi vuole Obama, invece, tenga presente che è solito andare in giro trasportato da una mostruosa carovana di macchine blindate. Quanto a Sergio Mattarella, se possiamo permetterci un consiglio: ora che è presidente della Repubblica, le chiavi della Panda magari le lasci ai figli.

Di più su questi argomenti: