Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Si rompe o forse no. Il Cav. nel circo compresso del Nazareno

Salvatore Merlo

Tradimenti, ripensamenti, psicologia, indecisioni e trentasei ore per trattare. Non sono il nome e il cognome di Sergio Mattarella il problema, quella di Forza Italia è una reazione alla malagrazia con la quale Renzi ha imposto il suo candidato.

Roma. Nel momento massimo dell’incertezza, Deborah Bergamini, fianco a fianco con Giovanni Toti, scende le scale che dai piani alti di Montecitorio portano al Transatlantico, “adesso è tutto chiaro”, sorride, e pare dire, con un sorriso affettuoso, volete sapere quanto fa quattro più quattro? Ve lo dico subito: fa sette. E per tutta la mattina Forza Italia non sa bene che fare, ma lo votiamo o non lo votiamo Sergio Mattarella? Alla Camera Augusto Minzolini s’impasta nelle parole, “Mattarella è la sòla del Nazareno”, dice. E quando gli ricordano che Berlusconi non è in realtà così ostile al candidato, allora lui si fa allusivo: “Ma qui Berlusconi non c’è…”. E infatti il Cavaliere è chiuso a Palazzo Grazioli con Denis Verdini, Fedele Confalonieri, Gianni Letta e l’avvocato Ghedini, e per tutta la mattina e tutto il pomeriggio, una riunione dopo l’altra, è incerto sul da farsi, è tentato dal dire di sì al suo protervo alleato del Nazareno, a Matteo Renzi, ma non sa risolversi nel dubbio, e dunque chiede consigli, fa domande, si tormenta: “Se votiamo subito per Mattarella suona come una sconfitta?”. Mariarosaria Rossi gli fa cenno di sì con la testa, gli mostra degli sms, sono di alcuni parlamentari preoccupati, “non possiamo, non possiamo, presidente”. E alla fine anche Verdini, il custode del Nazareno, mormora stanco, con la fatica e la contrazione di chi cammina controvento: “Matteo tende a non mantere i patti. Io non dico più nulla”. E nemmeno il gran diplomatico Verdini si aspettava che Renzi fosse così rigido, “non ci ha nemmeno proposto una rosa di nomi”, mentre Forza Italia, due giorni fa, aveva votato la riforma elettorale, e senza strepiti. Così, alla fine di una giornata convulsa, Forza Italia decide di non decidere, si comporta in realtà come il Pd, vota cioè scheda bianca, tra mugugni e borbottii, ma senza le volgarità e le ridondanze delle rotture forti: nessuna parola di troppo, né contro Renzi né contro Mattarella. Dice Brunetta: “Con tutto il rispetto che merita la candidatura di Mattarella, noi non lo voteremo”. Scheda bianca, dunque. Mai avversari sono stati così d’accordo nello scegliere i termini del disaccordo. Ed era già accaduto una volta: nel 2006, quando fu eletto al Quirinale Giorgio Napolitano. Berlusconi non lo votò, ma lo accettò.

 

“Il patto del Nazareno è finito”, ruggisce il Sovrano di Arcore di fronte ai suoi parlamentari riuniti in assemblea, il Cavaliere li accontenta e li tiene uniti, mantiene la parola data ad Alfano e Casini (“scheda bianca, scheda bianca”), ma Berlusconi conserva in tasca una lama di lucidità, sa che ogni parola è ritrattabile, palindroma, soggetta ai capricci del momento. E allora che succederà alla quarta votazione, quando Mattarella avrà i voti per essere eletto dal Pd, da Sel e da Scelta civica? Davvero il Cavaliere non si abbandonerà a un gesto cortese nei confronti d’un presidente di fatto già eletto? “Guardami bene negli occhi”, dice Giovanni Toti, serissimo, “noi Mattarella non lo voteremo mai”, esclama. Ma Cinzia Bonfrisco, senatrice di Forza Italia, sussurra con ironia: “Sei sicuro di averli visti bene gli occhi di Toti?”. E insomma nel cosmo fluido della politica, si sa, tutto è revocabile. “La torta è pronta”, dice Giacomo Portas, deputato del Pd, “bisogna solo vedere se Berlusconi ci vorrà mettere la ciliegina”. E Nicola Latorre, vecchio dalemiano: “Oggi Berlusconi non poteva piegare il capo con docilità, un gesto d’orgoglio era inevitabile. Ma da qui alla quarta votazione…”. In Forza Italia non volano parole forti, i discorsi, già bollenti nei petti, rimangono a gorgogliare nelle gole, poi ricascano giù senza aver potuto prorompere. “A me, per la verità, Mattarella piace assai”, confessa Maurizio Gasparri.

 

[**Video_box_2**]Montecitorio trabocca di deputati, senatori e grandi elettori, consiglieri regionali: stanno tutti nel vasto Transatlantico come piselli in scatola, si sfogano, telefonano ai capi, prendono informazioni, fumano, si fanno spiegare la politica dai giornalisti. E il nome di Mattarella, in questo circo compresso, è nei discorsi di ciascuno. “Io non capisco”, dice Bersani, con lo sguardo dolce di chi chiarisce gli equivoci e concilia i dissidi: “Non capisco perché Berlusconi non può votarlo. Mattarella non è la Bindi, e credo proprio che Berlusconi lo sappia bene”. E allora forse il problema, sul serio, non sono il nome e il cognome di Sergio Mattarella, ma quella di Forza Italia è un’impuntatura di stile, una reazione alla malagrazia con la quale Renzi ha imposto il suo candidato al Cavaliere, quella stessa offesa che si legge nel volto di Verdini mentre in un angolo di Montecitorio ascolta un deputato che gli parla all’orecchio: teso, curvo, con le mani sprofondate nelle tasche, guarda il pavimento. “Renzi fa sempre così. Compatta il Pd e ci tira il pacco a noi”, dice Sergio Pizzolante, deputato di Ncd. E Daniela Santanchè: “Da domani siamo opposizione dura”, dice, ma pronuncia queste parole senza baldanza, con una cert’aria d’infelicità, mentre tutt’intorno invece il Palazzo festeggia la prima votazione che si è conclusa con il previsto nulla di fatto, con le 538 schede bianche che sono all’incirca (poco meno) tutti i voti del Pd, di Forza Italia e del centro di Alfano e Casini. Quando Montecitorio spegne le luci, è un grande circo, stanco e allegro: nell’urna ci sono solo cinque voti per Mattarella ma tutti i voti sono per Mattarella. Lo saranno forse sabato, alla quarta votazione. “La terza Repubblica può cominciare solo così, con un presidente che proviene dalla prima”, dice Paolo Pillitteri, il vecchio sindaco socialista di Milano, il cognato di Craxi, che zampetta tra i parlamentari con l’aria di saperla lunga, cravatta blu e fazzoletto sbuffante nel taschino. Anche Nichi Vendola passeggia a braccetto con Franco Giordano, piccolo e tondo come una borsetta di gomma: “Mattarella? Anche per noi è un bel nome”. Manca solo Berlusconi. Per ora.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.