Papa Francesco (foto LaPresse)

Farsi dare degli omofobi per niente, a Milano (con tante brutte gaffe)

Maurizio Crippa

Dall’altra parte del mondo Papa Francesco aveva appena terminato di dire a sei milioni di cristiani che bisogna imparare a piangere davanti ai bambini abusati. Da questa parte del mondo, all’Auditorium della regione Lombardia a Milano, un più piccolo ma fiero manipolo di cattolici, nella chiesa c’è spazio per tutti, preferiva buttarla in rissa.

Dall’altra parte del mondo, non per forza in periferia, Papa Francesco aveva appena terminato di dire a sei milioni di cristiani che bisogna imparare a piangere davanti ai bambini abusati. Da questa parte del mondo, non proprio nel centro, insomma all’Auditorium della regione Lombardia a Milano, un più piccolo ma fiero manipolo di cattolici, nella chiesa c’è spazio per tutti, preferiva buttarla in rissa. Che non sempre è un motivo per piangere.

 

Non c’è nulla di male a difendere la famiglia, intesa tradizionale, monogamica, stabile e con figli. Non c’è nulla di male nemmeno a ritenere che l’omosessualità non debba diventare l’unica versione di sessualità e affettività degna di essere insegnata nelle scuole, come nuova e insindacabile dogmatica. Dalle Filippine anche il Papa, il Papa che secondo alcuni cattolici parla sempre troppo poco della famiglia e della morale sessuale, ha detto: “Attenti alle colonizzazioni ideologiche che vogliono distruggere la famiglia”. Il problema è come farlo. Finita la lunga stagione di una mobilitazione organizzata, variegata, che ha coinvolto gerarchie e base cattolica, nonché alcune sponde laiche, oggi l’evidenza dice che lo sfondamento di quella che chiamiamo “secolarizzazione” sui temi etico-sensibili è fenomeno compiuto e concluso. L’impressione è che un certo modo di voler condurre le battaglie già dette dei “valori non negoziabili”  – senza più sponde ma soprattutto senza più un campo dove giocare la partita – si riduca all’applicazione di soltanto la metà del vecchio (e oramai infungibile) motto ruiniano: meglio contestati. E basta. Era questo lo scopo? Non siamo proprio gli ultimi arrivati a saper distinguere le turlupinature della stampa dai fatti. Ma sbraitare dal palco “portatelo fuori!” a un ragazzino molesto che se ne esce per fare la sua provocazione, nel bel mentre che ci si fa riprendere in un video che in tre nanosecondi farà il giro d’Italia; ma farsi bastonare dall’accusa di “omofobia” – ne ha di fiato da vedere Massimo Introvigne a dire che “omofobia” è nient’altro che la nuova parola mostrificante (ma qualsiasi persona di normale intelligenza sa che non conta se l’accusa è vera, conta la bastonatura); ma organizzare un convegno già sotto schiaffo e farsi beccare con in platea (dietro a Maroni e Formigoni, non proprio su uno strapuntino) un sacerdote che ha avuto qualche suo rilevante problema di giustizia ecclesiastica e forse era semplicemente meglio non fosse stato lì, così che adesso persino Maroni fa la bocca a culo di gallina, “era opportuno che non fosse lì”. Ecco, infilarsi in un casino così, un casino improduttivo (controproducente è un concetto diverso) non è la stessa cosa di aver provato a portare, e tenere vivo nell’arena pubblica, un dibattito non residuale, non di retrovia.

 

[**Video_box_2**]Non basta la buona fede tradita. La buona fede non è che l’altra faccia di medaglia della cattiva coscienza. Intesa per cattiva il non averne: a essere consci delle scelte che si compiono, gli errori in buona fede si evitano. Il risultato è che il convegno “Difendere la famiglia per difendere la comunità” è stato nient’altro che l’occasione per costituirsi come nemico. Nella più classica dialettica politica amico/nemico. C’era bisogno? Qui sta il punto. Se il convegno milanese voleva essere la data di nascita della destra religiosa italiana, forse l’operazione è riuscita. Non nel senso da che parte votano i partecipanti (posto che a destra, in Italia, ci sia qualcuno che la pensa come loro), ma destra intesa come modalità di azione pubblica della destra religiosa di matrice protestante (ma in Francia anche no). Il nemico non è che non ci sia, è chiaro. Ma la strumentazione ideologica e la dialettica barricadera con cui viene affrontato oggi è inservibile, marginale. Pare una fissazione.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"