Sergio Marchionne

Marchionne Akbar

Fiat assume. Ma ecco perché l'establishment minimizza

Redazione

I “nuovi modelli”, il Jobs Act e l’oblio sulla rivoluzione industrial-contrattuale.

Roma. E insomma sarebbe questione solo di un paio di modelli azzeccati: ecco perché Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat-Chrysler Automobiles, torna ad assumere in Italia. Questo è più o meno il racconto – “la tripla lezione” per dirla col Corriere della Sera: oltre ai modelli anche “buone regole” e “grande fabbrica” – che passa sulla grande stampa e dagli (ex) grandi sindacati. Fiat assume perché “funziona la strategia della piattaforma unica per Fiat 500X e Jeep Renegade”, editorialeggiava ieri in prima il confindustriale Sole 24 Ore. Coerente con il “noi lo avevamo detto” di chi fino a ieri Marchionne lo avrebbe volentieri lasciato a Detroit (“tanto ormai è americano”, o “cosmopolita” come da accusa di Diego Della Valle), tolto il passaporto, nazionalizzato Pomigliano, condannato a restituire i soldi pubblici dati in altra èra a Gianni Agnelli e Cesare Romiti; quelli insomma tipo Cgil ma anche certa sinistra e destra, Lega inclusa. Minimalismo orbo di chi in questi anni non ha visto la più grande rivoluzione produttiva, finanziaria, sindacale, sociale e in fondo anche politica dell’Italia contemporanea; servivano solo una 500 X e una Jeep Renegade, che sarà mai. A farla inceppare, quella versione, basta già un dettaglio: una delle due macchine è appunto una Jeep, e questa Jeep verrà esportata dalla Basilicata agli Stati Uniti. I famosi frigoriferi agli esquimesi. Ma nessuno, tra i grandi esperti di talk e pianali flessibili, che spenda due parole per spiegare come mai questo accade.

 

Infatti è dal giugno 2004, più di dieci anni, che l’establishment fa i conti con Marchionne, senza mai capirlo e accettarlo. Quando venne nominato a capo del Lingotto tutti osservarono il pullover nero, e che non aveva mai conosciuto Agnelli: che curiose bizzarrie per un côté che dalle battute dell’Avvocato – sul calcio, sulle donne, su Berlusconi – letteralmente pendeva. Eppure già nel 2006 la Fiat tornava in utile, e grazie alla destrezza degli avvocati libera dalle banche. Mentre nel 2009 Marchionne andava alla Casa Bianca e prendeva in prestito 5,7 miliardi di dollari da Barack Obama e 1,7 dal governo canadese per rilevare la Chrysler dalla bancarotta. Per farlo chiese al sindacato, la mitica Union of Auto Workers, di non scioperare, di fare tutti i turni necessari, e di impegnare il fondo pensione. In cambio li avrebbe resi ricchi, oltre a salvargli il lavoro. Operazione mai tentata da un manager europeo, figuriamoci nell’Italia della consociazione e dei comitati di mogli degli operai di Pomigliano in perenne sessione televisiva ad “Annozero”. Proprio a Pomigliano, allora con una produttività del 32 per cento, Marchionne provò nel 2010 a far qualcosa di americano, cioè contratti aziendali legati alla produttività ma con le leggi e i rapporti sindacali di allora. Difatti la magistratura ordinaria ha condannato nel 2012 la Fiat ad assumere 145 operai tesserati Fiom, sentenza alla quale si è aggiunta la Corte costituzionale. Ma già nel 2011 Marchionne se n’era andato dalla Confindustria per l’atteggiamento da struzzo dell’organizzazione allora guidata da Emma Marcegaglia; gran fragore di piatti rotti e imbarazzi generali, su tutti Luca Cordero di Montezemolo, oggi presidente dell’Alitalia-Etihad, allora predecessore della Marcegaglia, presidente di Fiat e Ferrari, simbolo della Fiat in doppiopetto, accomodante e governativa. Intanto Marchionne commissionava a Eminem il video del Superbowl di febbraio 2013, titolo “Imported from Detroit”: celebrazione spinta di American Pride e di una Chrysler tornata a guadagnare miliardi di dollari, dunque in grado di rimborsare in anticipo i soldi di Obama. E poi di ricomprare per 3,65 miliardi le quote del sindacato, con un dividendo straordinario di 1,9 miliardi: mantenendo così la promessa di far ricchi tutti quelli che avevano accettato la scommessa.

 

[**Video_box_2**] Qui invece la Camusso si mobilitava contro il Jobs Act; ma non solo Cgil: la fusione nella Fca (Fiat-Chrysler Automobiles), la quotazione il 13 ottobre scorso a Wall Street, che ha già reso 15 miliardi di dollari, la sede legale ad Amsterdam e quella fiscale a Londra, apparivano troppo a una comunità politica-economica-mediatica abituata all’orto di casa. E quando infine Marchionne ha mandato via anche Montezemolo dalla Ferrari, dopo un decennio di reciproche antipatie, molti ne hanno tratto l’indefettibile conclusione che l’uomo del pullover stesse per fare lui i bagagli. Invece, sorpresa, comincia ad assumere. E intanto che a Detroit realizza il quinto anno consecutivo di utili (e 30 mila nuovi posti di lavoro), dal sud d’Italia esporta Jeep in America. Da diventare pazzi.

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