I giudici di X-Factor

Suonala ancora X-Factor, questa è la lingua perfetta del presente

Stefano Pistolini

Con una grandeur sotto controllo fino ai titoli di coda, “X-Factor 8” conclude la sua corsa e lascia un segno impossibile da ignorare negli scenari dell’industria musicale e dell’intrattenimento tv in Italia. La sensazione è di aver assistito alla edizione “perfetta” dello show.

Con una grandeur sotto controllo fino ai titoli di coda, “X-Factor 8” conclude la sua corsa e lascia un segno impossibile da ignorare negli scenari dell’industria musicale e dell’intrattenimento tv in Italia. La sensazione è di aver assistito alla edizione “perfetta” dello show, per una confluenza di fattori visibili, ma anche abilmente nascosti nel meccanismo: un rinnovamento turbolento ma funzionale della giuria; un lotto di concorrenti di eccellente qualità e varietà; soprattutto, una vera adesione all’aria dei tempi che soffia nei gusti del pubblico under 20, potente motore del suo successo. In questa seconda edizione prodotta da FreMantle, senza il concorso di Magnolia, parecchie cose sono cambiate. Alcune a tavolino, nella “volontà” del progetto. E altre in corsa, grazie alla capacità d’intuire gli sviluppi giusti da assecondare – dimostrando una prontezza rara per i nostri schermi.

 

Oggi “X-Factor” è il più importante veicolo di proposta musicale in Italia. Con l’intensità della sua messinscena, azzera la concorrenza – Sanremo e le altre pallide imitazioni – rivelandone la vecchiezza, l’ottusità e l’incapacità di cambiare. Tutto ciò grazie a una saggia riflessione teorica all’origine della produzione, notevole per come ha “rimontato” l’iniziale svantaggio di quello che era un normale format di “talent”, trasformandolo in un fenomeno popolare, capace di rispecchiare tante componenti estetiche e psicologiche che appartengono ai desideri reali e ai problemi del suo pubblico (un esempio: rappresentando minuziosamente la diffusa insicurezza esistenziale dei concorrenti). E poi individuando i reali gusti musicali del contemporaneo (non quelli immaginari, inseguiti da Sanremo), nonché le stagionali modificazioni dei suoni “in circolo”. E quindi, perseguendo la selezione di un campione di partecipanti che si sganciasse dall’assunto iniziale del format (la capacità di imitare dei modelli preesistenti – creando piccoli mostri, virtuosi ma senza futuro). E andando invece alla ricerca di giovani interpreti, espressione di come, anche da noi, si partecipi a un’evoluzione musicale e stilistica che ormai è planetaria – elaborandone però originali versioni locali. Un vero procedimento di sprovincializzazione. Che ha funzionato, ha rinnovato il senso di questo show (attribuendogli un dato di positività che è un sollievo anche per gli spettatori fuori età – i guardoni, diciamo così) e che ha ottenuto il riconoscimento dei veterani, i grandi nomi come De Gregori, Ferro, Nannini, che hanno aderito al progetto “X-Factor”, partecipando senza snobismi alla sua atmosfera da serra creativa.

 

[**Video_box_2**]Mantenere questa positiva tensione creativa e descrittiva, sarà difficile. Ma i mezzi a disposizione dell’impresa (destinati a crescere, visti i riscontri) e la prontezza di re-design dimostrata, fanno ben sperare. Vedremo chi farà parte, ad esempio, della prossima giuria, destinata probabilmente a un rinnovamento radicale. Quest’anno abbiamo visto un Morgan gradevolmente filosofico ma agli sgoccioli quanto ad adesione, una Cabello timida e un po’ estranea alla materia, un Mika meno effervescente della prima volta e lo strapotere di Fedez come efficace testimonial del presente (e perciò astutamente intenzionato a non ripetere). Probabile che arriveranno grandi nomi a sostituirli (Ferro sarebbe straordinario, nel ruolo del giudice empatico). E, nonostante questi scompensi, tutto è andato per il meglio, comprese le baruffe: lo show, ormai, è più forte della sitcom-giurati. Con una sottolineatura per il Baz Luhrmann de noantri, Luca Tomassini, strabordante direttore artistico e coreografo, godibilissimo prestigiatore dei giovedì catodici. E incluso lo sdoganamento del linguaggio adottato collettivamente nella rappresentazione, sboccato e quotidiano quanto quello del cortile di un liceo, dimostrando che la volgarità non sta nei termini ma sempre nelle intenzioni. Novità, quest’ultima, che alza l’asticella di una possibile tv del presente, che dovrà però rinunciare alle apparizioni retrò del team-Maionchi e assecondare l’ascesa di questo festival dei magnifici sconosciuti: perché Fragola, Madh, Ilaria e perfino Franco l’onesto, sono ricambi belli e pronti per il mercato musicale. Non replicanti, ma artisti in sintonia col presente, di cui sono il prodotto. Dal magico dubstep di Madh, che presto canterà “Sayonara” a Ibiza, fino al canzoniere tradizionale del disoccupato sardo, che intonando “all’orizzonte / vedo le onde” restituisce al pubblico l’antica voglia d’identificarsi con una faccia nuova, che finalmente ce la sta facendo.

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