Il direttore dell Cia John Brennan lascia il palco della sala stampa di Langley, da cui ha appena tenuto il discorso in cui difende l'operato dell'Agenzia (foto AP)

La guerra interna

La Cia si difende dal report (molto di parte) sulla tortura

Paola Peduzzi

Eccoli, gli americani, ci fanno lezioncine su diritti, libertà e democrazia e poi guardateli, “quegli psicopatici che torturano gente con metodi mai visti nella storia”, come si legge su Twitter in uno dei tanti account legati allo Stato islamico.

Eccoli, gli americani, ci fanno lezioncine su diritti, libertà e democrazia e poi guardateli, “quegli psicopatici che torturano gente con metodi mai visti nella storia”, come si legge su Twitter in uno dei tanti account legati allo Stato islamico. Lo spin dei jihadisti su quel che è emerso dal report della commissione Intelligence del Senato americano sul programma di interrogatori della Cia è cominciato, efficace come ci si aspettava: come la mettiamo adesso, chi è il più barbaro? L’equiparazione tra quel che è accaduto a 119 detenuti dell’Agenzia negli anni successivi all’11 settembre – ora conosciamo dettagli orrendi, come il famigerato “rectal feeding” con pasta e hummus, e sappiamo che forse il waterboarding è stato praticato più delle tre volte note finora – e quel che accade nei regimi e nei gruppi fondamentalisti in cui la tortura è una pratica istituzionalizzata è già un fatto: il danno all’immagine dell’America, già non proprio scintillante, è destinato ad avere conseguenze. Non perché non sapessimo che le torture ci sono state, anzi. Lo sapevamo, da anni. Nella loro crudele realtà, raccontata da altri report e testimonianze uscite nel passato, e ancor più nella fiction televisiva: tra “24”, “Homeland” e “Scandal”, solo per citare serie tv famose, abbiamo visto interrogatori con penne ficcate nelle mani, denti staccati senza anestesia, buchi nei corpi con i trapani, gente appesa, seviziata, uccisa. Nell’ultima stagione di “Homeland” in un interrogatorio un agente della Cia minaccia torture, il detenuto dice: ma non sono più legali, e l’agente risponde: è quel che dicono, ma non crederci (panico). E’ fiction, certo, ma è immaginario collettivo, è una faccenda con cui abbiamo imparato a fare i conti, con la consapevolezza che ora certe pratiche non sono più permesse e con la certezza che fossero misure di emergenza orripilanti dettate da un’esigenza di sicurezza che allora, dopo l’11 settembre, era assoluta e bipartisan e che poi è andata perdendosi nell’ambiguità morale che da sempre circonda la guerra al terrore.

 

Oggi l’America si mette a nudo assecondando logiche politiche partisan – il report è stato voluto e votato soltanto dai democratici della commissione del Senato, i repubblicani si sono dissociati – e diventa oggetto di una propaganda feroce da parte di chi non ha sistemi di vigilanza interna, da chi non distingue tra ciò che è legale e umanitario, non ne vede nemmeno l’esigenza (aspettiamo un commento sul tema da parte di Bashar el Assad, rapido con l’ironia sui leader occidentali e molto preparato sul tema tortura). In un clima di sdegno collettivo l’America finisce per credere che il rapporto di Dianne Feinstein sia l’unica verità e si appiattisce sull’idea sintetizzata nel titolo del commento di Gail Collins, editorialista del New York Times: “It’s cruel. It’s useless. It’s the Cia”. Ma tutti i capi dell’Agenzia degli ultimi vent’anni – la Cia di Clinton, di Bush e di Obama: ieri John Brennan ha ammesso alcuni errori ma ha detto di non essere per nulla d’accordo con il report – che non sono stati nemmeno interpellati dalla commissione sostengono che quelle tecniche hanno permesso di raccogliere intelligence decisiva. Oltre alla convenienza politica, figlia del “mai più” dichiarato da Barack Obama all’inizio del mandato e dell’ideologia della pace a tutti costi che ha creato sempre più conflitti, c’è un tratto più intimo nella coscienza dell’occidente che il Wall Street Journal, durissimo, spiega così: “Il report è importante per illustrare quanto capricciosi siano gli americani riguardo alla loro sicurezza e così ingiusti con coloro che gliela garantiscono”. Obama è emblematico per spiegare questo capriccio, lui che condanna la Cia dell’èra bushiana che pure aveva già “assolto” con l’inchiesta del dipartimento di Giustizia, guidato da Eric Holder, conclusasi nel 2012, e celebra i patrioti che lavorano per l’Agenzia. E intanto ha impedito a Leon Panetta prima e a Brennan dopo di pubblicare le loro inchieste interne alla Cia perché quello sì che sarebbe stato politicamente sconveniente, e rischioso.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi