L'Europa? Mai così verde come oggi negli ultimi cento anni

Giordano Masini

Cosa è successo, in realtà, all’ambiente in Europa negli ultimi cento anni? Se pensate che si sia impoverito, che le foreste e più in generale gli ecosistemi naturali abbiano ceduto progressivamente il passo alle coltivazioni e più in generale all’azione dell’uomo, state dando la risposta sbagliata. L’Europa, da cento anni a questa parte, non è mai stata tanto verde come oggi.

Oggi si tende a considerare, nel migliore dei casi, l’intensificazione agricola come una sorta di “male necessario”. Necessario, magari, per dare da mangiare a tutti, ma al prezzo del progressivo impoverimento degli ecosistemi naturali, un prezzo che molti considerano inaccettabile: meglio rinunciare a una porzione più o meno grande del nostro benessere, dicono i più, per garantire uno sviluppo sostenibile e un pianeta migliore per le future generazioni. Tutto sommato, non fa una grinza, se il presupposto fosse corretto.

 

Cosa è successo, in realtà, all’ambiente in Europa negli ultimi cento anni? Se pensate che si sia impoverito, che le foreste e più in generale gli ecosistemi naturali abbiano ceduto progressivamente il passo alle coltivazioni e più in generale all’azione dell’uomo, state dando la risposta sbagliata. L’Europa, da cento anni a questa parte, non è mai stata tanto verde come oggi.

 

Alcuni ricercatori dell’Università di Wagenigen, in Olanda, hanno costruito una mappa interattiva del continente europeo, sulla quale sono riportati, in diversi colori, gli insediamenti urbani, la terra coltivata, i prati naturali e le foreste. Tutto questo, tra il 1900 e il 2010. L’animazione, che si può vedere anche sull’edizione online del Washington Post, lascia senza parole, ed è destinata a far crollare molte incrollabili certezze. A cosa si deve tutto questo?

 

A una somma di fattori: in primo luogo, al progressivo spopolamento delle campagne – sulla mappa interattiva le zone rosse, che corrispondono ai grandi centri urbani, crescono a vista d’occhio. Ma questo non sarebbe sufficiente a spiegare il fenomeno. Infatti la popolazione europea, sebbene lontana dalle campagne, cresceva di numero, c’erano quindi più bocche da sfamare, anche se le due guerre mondiali hanno rallentato l’impennata demografica.

 

Un altro elemento chiave è la fine progressiva dell’uso del legno come principale fonte di riscaldamento, sostituito dai combustibili fossili, e come materiale da costruzione, cosa che ha ridotto sensibilmente lo sfruttamento intensivo delle foreste. Ma più di ogni altra cosa, a restituire il colore verde alla mappa dell’Europa è stata proprio l’agricoltura intensiva, attraverso, sembra un paradosso, un uso sempre più generalizzato della meccanizzazione, della chimica e del miglioramento genetico delle varietà.

 

I dati sull’incremento dei raccolti sono quelli che meglio aiutano a fotografare questa evoluzione: un ettaro di mais nel 1950 produceva tra i dieci e i venti quintali per ettaro. Oggi lo stesso ettaro di mais rende più di cento quintali di prodotto. E il grano? Da dieci a quaranta quintali di resa media per ettaro, con le zone più fertili che riescono ad arrivare e a superare i settanta quintali per ettaro. E così, progressivamente, i terreni più marginali e meno adatti alla coltivazione sono stati abbandonati e restituiti a prati e foreste, per le quali peraltro nel secondo dopoguerra sono stati varati programmi massicci di rimboschimento.

 

L’agricoltura sostenibile non è quindi quella che si rivolge sospirando al passato, che si illude di poter aiutare il Pianeta rinunciando alla tecnologia e al mercato e rispolverando diffusamente le tecniche agricole “di una volta”, come il biologico: il mondo che questi nostalgici, tanto di moda negli ultimi tempi, consegnerebbero ai nostri figli non sarebbe solo più povero e più affamato, ma anche molto meno verde.

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