Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

Solo una ciambella di salvataggio? Cosa non va nella Terza via renziana

Claudio Cerasa

Sì, d’accordo, bellissimo, ma dov’è il collante? Lo spunto storico è interessante e ci può aiutare a capire meglio un tratto spesso trascurato dell’èra Renzi e anche della nuova èra delle sinistre europee. Ce lo offre la copertina scelta dal nostro amico Christian Rocca per il nuovo numero di IL, mensile del Sole 24 Ore.

Sì, d’accordo, bellissimo, ma dov’è il collante? Lo spunto storico è interessante e ci può aiutare a capire meglio un tratto spesso trascurato dell’èra Renzi e anche della nuova èra delle sinistre europee. Lo spunto storico ce lo offre la copertina scelta dal nostro amico Christian Rocca per il nuovo numero di IL, mensile del Sole 24 Ore, in edicola domani, e il tema ha una sua centralità non solo per una particolare ricorrenza storica ma anche per il suo essere uno dei tratti non ancora definitivi del renzismo del governo. Il problema è semplice: quindici anni dopo la nota conferenza di Firenze durante la quale i più importanti leader delle sinistre mondiali (da Bill Clinton a Tony Blair) si ritrovarono insieme per lanciare la famosa Terza via esiste davvero, oggi, una nuova Terza via che sia in qualche modo paragonabile alla vecchia Terza via? Rocca ha chiesto a quattro pezzi grossi del progressismo presente e passato (Bill Clinton, Tony Blair, Manuel Valls, Matteo Renzi) di ragionare sul tema.

 

Gli interventi sono di livello e tutti concordi nell’identificare la necessità di dar vita a una nuova e moderna alternativa pragmatica al vecchio liberalismo capitalista e alla vecchia socialdemocrazia. Renzi e Valls, in un certo senso, sono i primi due leader progressisti europei a considerarsi figli dell’epoca della Terza via. Ma da qui a dire che Renzi e Valls, assieme agli allegri compañeros della izquierda unida in camiseta blanca, olé olé!, siano espressione di una nuova, formidabile e ben definita sinistra continentale pronta a guidare una grande riscossa europea un po’ ce ne vuole. E la ragione, se vogliamo, è presto spiegata: sì, d’accordo, fantastico, ma dov’è il collante? Renzi e Valls, con Tony Blair, hanno alcune caratteristiche in comune, alcune pose coincidenti, alcuni tratti corrispondenti – e non c’è dubbio che sia Renzi sia Valls siano arrivati alla testa della sinistra italiana e francese portando avanti un messaggio diametralmente opposto rispetto a quello dei propri predecessori (Pier Luigi Bersani e Pier François Hollande). Lotta dura contro la sinistra radicale. Lotta pura contro il sindacato. Apertura sincera al mercato. Grande enfasi sulle riforme strutturali. E fine dell’epoca del “Pas d’ennemis à gauche”. La posa è dunque identica ma complice una fase storica diversa da quella florida e rigogliosa in cui maturò la Terza via clintonian-blairiana la nuova Terza via oggi fatica ad avere un’identità definita a livello europeo e fatica a imporre sulla scena qualcosa che sia diverso dallo sterile modello del no all’Europa del rigore e del no all’Europa dell’austerity. Renzi, nel suo intervento su IL, riconosce che la sinistra moderna, per evitare di diventare la sinistra dei reduci, non può vivere troppo inseguendo i miti delle esperienze passate. Ma il presidente del Consiglio ancora una volta non affronta un punto cruciale: la necessità di promuovere una politica che possa superare l’idea che la crescita di un paese dipenda quasi esclusivamente dalla capacità che ha quel paese di spendere soldi. Generalizzare è sbagliato ed è ingeneroso dire che per il segretario del Pd la politica della spesa (che in concreto si traduce nel chiedere più soldi all’Europa) sia il punto cardinale del suo progetto culturale. Ma senza volersi prendere in giro, la difficoltà di Renzi, e il suo essere in questa fase più figlio del change obamiano che del riformismo clintoniano, oggi si trova anche qui: nella difficoltà di imporre un modello di stato imprenditore capace di prendere atto che soldi in giro semplicemente non ci sono più e che per trovarli devono essere imboccate strade alternative, a volte anche molto dure, a volte anche molto impopolari (per dirne una: qualcuno sa che fine ha fatto la grande e storica e irresistibile spending review renziana?).

 

[**Video_box_2**]Politicamente la conclusione del nostro ragionamento è presto detta: i campioni della Terza via (quelli veri, disciamo) sono riusciti nell’impresa di far cambiare i propri elettori, di modellare le loro attese, di portarli verso un nuovo futuro possibile. Renzi (e, seppur in forme diverse, Valls) ha buone possibilità di replicare quel tipo di esperienza ma per farlo ha bisogno di cambiare un lato della propria strategia. Per vincere e governare non basta cambiare elettori e rivolgersi a quelli che prima non ti votavano ma bisogna fare una cosa più complessa: cambiare i tuoi elettori, e non soltanto dunque cambiare elettori. Change Labour to Change Britain, diceva un tempo Tony Blair. E per Renzi oggi il principio resta identico: non si cambia il paese se prima non si cambia il proprio partito e se prima non si dimostra ai propri elettori che il renzismo è qualcosa in più di una scomoda ciambella di salvataggio da indossare momentaneamente mentre il mare è in tempesta.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.