Walter Matthau e Jack Lemmon in “Prima pagina” di Billy Wilder (1974), la più celebre commedia sul mondo del giornalismo

Stampa precaria

Michele Masneri

Siamo noi. Siamo in tanti. Siamo la fascia alta dei morti di fame. Siamo i freelance (d’ora in poi nel testo: Fl). Non abbiamo l’articolo 18 ma soprattutto non abbiamo l’articolo 1, quello dei contratti giornalistici, quello che per essere licenziati devi almeno assassinare un caporedattore.

Siamo noi. Siamo in tanti. Siamo la fascia alta dei morti di fame. Siamo i freelance (d’ora in poi nel testo: Fl). Non abbiamo l’articolo 18 ma soprattutto non abbiamo l’articolo 1, quello dei contratti giornalistici, quello che per essere licenziati devi almeno assassinare un caporedattore, tipo l’afghano che ha assalito il suo superiore da Eataly. Siamo una generazione che non andrà in pensione mai ma si rincoglionirà prestissimo; il Fl è infatti multitasking e sebbene non esista letteratura scientifica, è chiaro che il prolasso neuronale arriva molto prima di altre categorie. Per il Fl scrivere i suoi pezzi è infatti un’attività che lo rallegra e lo distende, lo fa nei ritagli di tempo. Quando non svolge le altre professioni ancillari a cui è tenuto: la segretaria; il commercialista, il commesso viaggiatore. Avvertenza: questo non è un pezzo piagnucoloso sul precariato. E’ un apologo, un manifesto. Non ci rappresenta nessuno, nemmeno la Federcasalinghe (anche se lavoriamo tanto da casa). Ma noi sosteniamo il pil, anche se spesso in pigiama.

 

Tutto è contro di noi. Il dio Crono è il grande nemico del Fl. Il tempo si accanisce infatti contro il Fl in maniera violentissima. Le giornate del Fl possono essere eterne o brevissime. Per qualche legge della fisica, quando qualche committente ti cerca poi ti cercheranno tutti. Al contrario, quando hai un sacco di tempo libero, non ti si fila nessuno. Normalmente, il Fl sta in casa tutto il giorno, in pigiama, anche se si sforza di mantenere una parvenza di normalità: si alza, si fa la doccia, si veste, poi si chiede per quale motivo fare tutto ciò, dunque riprende la sua esistenza in pigiama. Io nei tempi più bui, non avendo soldi per gli antidepressivi, andavo in palestra puntando sulle endorfine naturali; è anche un buon modo per restare in contatto col mondo reale; c’era musica brutta, e commenti sul calcio; e però, anche un istruttore grillino in quota Di Battista, che continuava a spiegarmi il signoraggio anche dopo reiterate rimostranze molto circostanziate, e a nulla valeva dirgli che ero economista anch’io. Per qualche legge di Murphy, il Fl, quando dorme a lungo la mattina, subisce la telefonata in viva voce del caporedattore tipo alle otto e venti, e deve fingere tragicamente di essere fuori dalla fase Rem ma soprattutto di aver già letto tutti i giornali e essersi fatto delle idee precise della giornata (consiglio: tenere sempre un bicchiere d’acqua sul comodino, contro la gola secca e la voce impastata. In casi estremi, non rispondere, dire poi “ero in riunione”). Il Fl poi naturalmente è sonnambulo, dunque sarebbe tentato di mandare proposte di articoli la notte, ma poi si rende conto che una serie di mail con soggetto “idee” alle 4 di mattina non depongono molto bene, quindi ha imparato a salvarle in “bozze” e mandarle l’indomani.

 

Anche la programmazione sul medio termine gioca a sfavore del Fl. Qui, introiettando le credenze più diffuse che il Fl si sente rinfacciare quotidianamente (“eh, beato te. Puoi organizzarti la vita come meglio credi”. “Puoi andare in vacanza in bassa stagione, quando non c’è nessuno!”) il Fl decide di tirarsi su e presumendo qualche periodo di inattività incipiente, decide di partire per una piccola vacanza. La quale vacanza fuori stagione si rivelerà tragica (a Favignana, ai primi di maggio, si spende poco con Ryanair ma fa freddo, ci sono solo turisti arrivati da Baden Baden, e le meduse). Ma ancora prima di arrivare al porto-aeroporto-stazione, è statisticamente provato che cominceranno a telefonare committenti che da mesi si pensava estinti; a proporre fondamentali riunioni per il giorno dopo, e caffè e pranzi, a commissionare pezzi urgentissimi. Al mortificato diniego, col rumore delle onde o del turboreattore di sfondo, ci si sentirà rispondere “ah, vai in vacanza? a giugno?”, ci si sentirà in colpa e inadeguati come una donna incinta che fuma Marlboro rosse. Al contrario, ecco un consiglio ai più inesperti: fingersi impegnatissimi, negarsi sempre. A quel punto, il mondo, come caos o gnommero gaddiano, si sentirà trascurato dal Fl, e lo vorrà a tutti i costi; è capitato a chi scrive, si era in un periodo un po’ così, chiusi in un eremo pericolante facendo i Giovani Favolosi, e arrivò la chiamata: vorrebbe mica collaborare alla prestigiosa testata? (era agosto, periodo di caccia grossa al Fl, quando i giornalisti di prima classe sono in vacanza). Si rispose sospirando: “Eh, magari. Magari avere tempo. Sono chiuso in questa torre in campagna a scrivere il mio romanzo”. L’interlocutore rimase molto colpito, e fu l’inizio di una bellissima avventura.

 

Perché il Fl è una commodity ad alto tasso di sostituibilità, e labour intensive, è come un rubinetto fatto dai cinesi: ce ne sono tanti, sta a noi fare la differenza, dunque fingersi sempre impegnatissimi, e soprattutto ricchissimi. Il direttore e il caporedattore fiutano la povertà e l’indigenza come gli squali col sangue. Più sei povero e meno ti pagheranno. Dunque fingersi eccentrici amatori della professione, con capitali e industrie e patrimoni alle spalle; citare il classico Barzini jr: “Il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi; ma è sempre meglio che lavorare”. Affettare distacco dal denaro. Anche, al limite, non mandare le fatture. Almeno una o due. Fingere di scordarsene. Dopo qualche mese, si spargerà la voce, si verrà molto rispettati, è un ottimo investimento con un piccolo fondo perduto iniziale. Sul tema denaro, al Fl è infatti richiesto un codice cavalleresco e nobiliare della più alta etichetta. Il Fl non deve mai neanche accennare al volgare tema, è come toccare il pesce o l’uovo col coltello. Così, al nascere di una nuova collaborazione, quando il direttore ti convoca e ti fa complimenti per almeno venticinque minuti nel suo studio prestigioso (mai, mai, mai! proporsi. Piuttosto, morire di fame, o diventare food blogger vegani), subito ti dirà che “naturalmente visti i tempi non ti posso certo assumere” e ti proporrà una collaborazione, e naturalmente precisando che “non ti arricchirai”, al che il Fl sarà tenuto a rassicurare il direttore sul fatto che i denari non hanno mai contato nulla per lui, che mai si abbasserebbe a tali biechi pensieri, insomma, siamo tra uomini di mondo.

 

Questi trucchi nulla possono però nel caso-limite dell’Editore Sadico, rito di passaggio fondamentale nella carriera del Fl. Ecco l’esperienza di vita vissuta. Suona il telefono ed è un “numero privato”, e temendo che sia la Telecom per certe bollette non pagate non rispondo; segue però email della segretaria del prestigioso editore, che informa che l’editore avrebbe tanto piacere di incontrarla. Si parte dunque per il compound suburbano del celebre gruppo editoriale; si sbaglia per l’emozione il civico (è il torrione accanto); si dice da chi si è convocati; lo sguardo degli uscieri muta immediatamente, si fa condiscendente e ammirato; si viene scortati da due guardie private fino al torrione giusto, e lì, con molti complimenti, infilati in un ascensore riservato che porta fino all’ultimo piano con suoni celestiali dell’ascensore modernissimo a segnalare l’ascesa verso empirei sempre soltanto vagheggiati. Arrivati all’ultimo piano, corridoi e cubature fuoriscala, architetture ampie e semplici, e ci si chiede se ci sarà anche l’acquario con i dipendenti e le poltrone di pelle umana. Un’assistente nordica efficientissima ci porta in uno stanzone panoramico, bussa e ci spinge dentro, tipo primo lancio col paracadute, e si è ammessi subito alla Presenza. Il salone è enorme, dalle finestre si vede l’altro torrione scuro del compound, interni in legno chiaro minimalisti, e una scrivania di acero, e tanti fogli per terra, e il proprio curriculum preso da chissà dove, e la propria foto stampata sulla scrivania dell’Editore. Editore che si alza, ha una camicia a righine bianche e rosa, e le bretelle, ed è proprio lui, lui in persona, e accoglie assai amabilmente e fa tantissimi complimenti anche spropositati e “io so riconoscere un giornalista di talento”; il pensiero corre ai propri genitori lettori avidi del quotidiano progressista, laggiù nella provincia bresciana: che orgoglio, che emozione, e si sta lì e si risponde a domande tipo “cosa pensa di fare nei prossimi anni”, e “cosa pensa della situazione politica” e si ascoltano le valutazioni politiche dell’Editore, assai amare, e lui è gentilissimo e rifiuta addirittura una fondamentale telefonata in arrivo, e “mi faccia richiamare tra un quarto d’ora”, e ci si sente importantissimi, questo quarto d’ora vale qualche decimale di pil, forse. Il Fl non-di-primo-pelo sa che non deve illudersi, “resisti”, si dice, “non abbassare la guardia”; la parte razionale si sente Alberto Sordi giornalista del Lavoratore in “Una vita difficile”; quella irrazionale di noi sogna, sogna di essere Gad Lerner che sale in elicottero con l’Avvocato e ne scende vicedirettore della Stampa. L’Editore però dice subito la solita frase a cui il Fl è avvezzo: “Lei lo sa meglio di me, con la situazione attuale noi non possiamo di certo assumerla”, ed ecco che la sospensione dell’incredulità cessa di colpo, e si era preparati, e però mentre si ha di fronte l’editore che dice quelle parole amare lo sguardo si fissa sulla foto alle sue spalle di un veliero e – in un momento di rara grettezza, raro per un Fl – non si riesce a non pensare che in fondo un articolo 1 costerà al mese più o meno quanto un giorno di ormeggio a Porto Rotondo o Portofino o qualche altro porto giusto.

 

Si esce con quella sensazione di benessere, le famose endorfine da contatto coi ricchi; il giorno dopo l’Editore ritelefona (addirittura) e conferma che si verrà chiamati prestissimo, il giorno dopo, per iniziare subito, non perdiamo tempo per carità. Dopodiché, il nulla. Il silenzio. Passano mesi. A quel punto il Fl, che aveva taciuto scaramanticamente con i suoi amici Fl e non Fl, comincia a confidarsi. Scopre di aver superato a sua insaputa un test fondamentale, viene anche sbeffeggiato e compatito: “Ma come, non lo sai? Ha fatto così anche con me”. “Ah, sì, anch’io c’ero andato, nel 2009”. “A me l’anno scorso”. “No, non richiamano mai, assolutamente”. “C’è sempre la foto del veliero?”.

 

Il Fl torna dunque alla sua vita di tutti i giorni (in pigiama e senza pigiama) e alla sua principale attività, l’emissione e la riscossione delle fatture. Siccome avrà più di un committente, ci saranno diverse numerazioni, con una lettera poi a segnalare la testata avremo una 1M per il Messaggero, una 1R per Repubblica, una 1F per il Foglio, per esempio, e a fine trimestre correrà a consegnare questi pacchi di fatture degni di Bartezzaghi a un commercialista perfido che ne sa meno di lui. Per scaricare l’Iva, il Fl, che vive netto e guadagna lordo, sempre sul filo di una tragica vita al 22 per cento, farà tragici siparietti; al ristorante, al termine di una cena con ottime prospettive per il dopo, si attarderà alla cassa chiedendo la fattura con intestazioni di provincia difficilissime, numero di partita Iva sbagliato a causa di quel Traminer bevuto con entusiasmo, e chiedendo che tutto il conto sia intestato a un solo coperto; mentre l’amato o l’amata al tavolo lo guardano con erotismo calante a causa di questi continui rallentamenti proprio nel momento del pagamento, quando l’operazione dovrebbe essere veloce e non farraginosa.

 

[**Video_box_2**]Inviate le fatture al committente, il Fl entra in un limbo che va da sessanta a novanta giorni, per tendere poi all’infinito. “Va in pagamento sabato su lunedì”; “martedì su mercoledì”; il Fl è familiare al mondo della menzogna: “Guardi che si sbaglia, è stato pagato, controlli meglio”; le allego qui il Cro (il codice della transazione) del pagamento, mai effettuato. Con sussiego e sbuffi, da parte del committente moroso, crescenti. Poi il caso limite del fallimento: è un altro rito di passaggio. Ci si riconosce subito, con uno sguardo. Come reduci di guerra o alcolisti anonimi ci si chiede, sottovoce, in cerchio: “Ma tu, quei soldi dal Riformista, li hai più avuti?”; “ma quei mille euro da Finanza e Mercati? Hai rinunciato, vero?”; “da Pubblico più niente, eh?”.

 

Ma il Fl non è solo un commercialista ad honorem: è anche un esperto di previdenza, meglio di una Fornero qualsiasi. Il Fl se partecipa alla cosiddetta “gestione separata” Inps paga il 27 per cento del proprio reddito a sostegno dell’Italia anziana, con un’opera di charity globale che altro che fondazione Clinton e Gates, mentre dal canto suo sa che non andrà mai in pensione, oltre a essere consapevole di far parte di un lavoro usurante che lo renderà rincoglionito precoce Ninja (no income no job no assets). Il Fl, che quasi sempre è riflessivo e progressista, in politica economica è quindi renziano tendenza Davide Serra, sogna un sistema americano Tea Party spietato in cui ognuno si sceglie la sua pensione privata (e pazienza se poi, come diceva Tremonti, si finirà nelle roulotte, tanto il Fl ci finirà comunque, in una roulotte col wi-fi, si spera).

 

Il Fl riflessivo scappa dall’Inps e si iscrive all’Inpgi, la previdenza dei giornalisti, e dunque si reca spesso all’Ordine per sapere come fare. Lì inizia un percorso iniziatico nel palazzo dell’Ordine dei giornalisti del Lazio. L’edificio dev’essere l’unico brutto e moderno del centro di Roma, tra un parcheggio di motorini selvaggi e il celebre negozio di sport del commendator Banchetti, primo venditore del Moncler a Roma in tempi di minori sensibilità aviarie, accanto a una piazzetta celebre per aperitivi, funerali solenni, lo studio un tempo di Giulio Andreotti, la sede low cost oggi di Forza Italia. Ingresso di marmi scuri e sporchi, corrimano ottonati ossidati, infissi di alluminio anodizzato, seggioline consumate, una cassa dove pagare l’obolo annuale con vetri smerigliati e stondati, tipo Cariplo di provincia. Alle pareti, prime pagine di quotidiani e periodici d’epoca. Una copertina di Oggi con Mina (1966); una di Famiglia cristiana 1980 con un’inchiesta sui problemi del fumo. Qui invece fumano solerti signorine nei loro uffici; anche odori di vernici o solventi, e si pensa a ristrutturazioni o pittature in corso, invece è un’altra signorina che si sta facendo le unghie. In questo luogo metafisico che sembra una di quelle case incapsulate e rimaste intatte dal 1944, la parte migliore è la saletta d’attesa al primo piano, con queste sedioline da cinema tutte girate in un verso, anche se manca lo schermo. Il cinéma-vérité è invece laterale ed è l’ufficio del mitologico Luciano, il signore molto efficiente che gestisce l’ufficio Casagit (la cassa malattia dei giornalisti, prerogativa dei tutelati, lusso sibaritico e mitologico, rimborsa dentisti e occhiali, rimanda a un immaginario dorato di pulizie dei denti frequenti e welfare state danesi, è il principale elemento di invidia sociale del Fl rispetto all’articolo 1. Il Fl la può avere a sue spese, la Casagit, e in forme ridotte, tipo carta American Express base contro quella gold).

 

Luciano si lamenta: “Aho, io voglio lavora’ coi malati de mente, coi tossici, basta che non me fate più lavora’ con voi giornalisti”, dice mentre si è lì seduti in attesa di ragguagli pensionistici a un signore che si è presentato con un bustone pieno di certificati e scontrini di farmacia. “Questo è n’integratore, nun t’oo posso rimborsa’! Come t’oo devo di’”, a questo signore non Fl che forse ce marcia o ha portato comunque scontrini di Multicentrum o Supradyn. Il collega tutelato si informa poi se la Casagit rimborsa una certa operazione chirurgica in una certa clinica romana, e lì si entra nel più puro dott. Tersilli: Luciano spiega la pratica per il rimborso, e poi consiglia: “Si vai alla Pio XI te devi fa’ opera’ dal professor X, è er mejo”. La porta di Luciano rimane aperta a noi spettatori delle poltroncine, come se questo cinema sadico di tutelati rimborsati costituisse una bieca ricompensa. Si baratta il welfare con la privacy, ed è capitato di ascoltare colleghe anche assai note, con fatture cospicue di primarie psicanaliste romane, strillare, perché la Casagit più di seimila euro all’anno di strizza non li rimborsa (e per gli psicanalisti dei Parioli è un budget scarsissimo). Il Fl assiste alla gogna, tipo “Anche i ricchi piangono” ma non gode delle disgrazie degli articolo 1. Il Fl è un nobile cavaliere: è abituato alla competizione; ogni giorno un Fl si sveglia in pigiama e sa che arriverà un Fl più giovane e fresco, in un “Eva contro Eva” quotidiano, che correrà più veloce. Il Fl anziano non lo combatte, anzi lo agevola, gli dà mail e contatti (poi non sarà ringraziato, verrà a sapere anzi che il Fl giovane andrà in giro a dire “un po’ sottotono il Fl anziano, ultimamente, un po’ stanco”). Ma non fa niente: il Fl introiettato crede nel libero mercato. Vogliamo solo fatturare ed essere amati. E, a questo punto, almeno una Leopolda dei Fl.

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