Il rapper Fedez (foto LaPresse)

Fedez, il rap antisistema e anticasta. Ma che segue il mercato

Manuel Peruzzo

Anatomia del cantante che sta segnando la nuova generazione di giovani. Con un occhio ai social e con il giusto linguaggio promozionale, il rap italiano denuncia il capitalismo (al contrario di quello americano che lo esalta). Ma è grazie al mercato che continua a sognare il disco di platino.

“E' noto che l'italico soffre di stress post-traumatico da cellulare scarico/Tipo che l'Iphone smette di scrivere e tu smetti di vivere”

 

Dopo il rap spiegato ai bianchi, quello spiegato ai disconnessi partirebbe da una foto. Quella in cui Trava, figlio di Marco Travaglio, posa con Fedez, l'uomo del momento. Su Facebook. Entrambi rapper partiti da internet per costruirsi una credibilità, perché hanno capito che tutto l'investimento in social network e musica può essere convertito in contratti discografici. Gli stati in bacheca creano status più di quanto riescano a fare collane d’oro. Il marketing digitale a basso costo permette loro di raggiungere subito un pubblico giovane, ancor prima di passare dalla televisione. Entrambi accomunati, in un verso o nell’altro, dal disamore per una classe politica che non li ascolta e, molto peggio, non cerca di parlare loro. Ma se il primo ammette candidamente di voler essere un tamarro, il secondo ha lo stesso desiderio di Francesco Piccolo: essere come tutti.
 
“I 40 ladroni sono più di 900/se dici apriti sesamo si spalanca il Parlamento”
 
Fedez negli ultimi mesi ha: discusso con Giovanardi alla trasmissione "Anno uno" sulla legalizzazione delle droghe (“Cucchi morto disidratato? Giovanardi, io stasera muoio disidratato per le cazzate che dice lei”), battibeccato con Gasparri su Twitter prendendo le difese di una fan trollata per il peso (“Meno droga, più dieta, messa male”, ha twittato il vicepresidente del Senato, peggio di un rapper che fa brutto nella Barona); poi due deputati Pd lo hanno accusato di vilipendio e hanno chiesto a Sky di rimuoverlo da X-Factor, dove fa il giudice. Il motivo è nel verso all’inno che ha scritto per il Movimento cinque stelle, "Marcio su Roma", dove invita Napolitano ad andare a testimoniare sulla trattativa stato mafia o a passare il testimone. Infine, ha detto a un concorrente che cantare di pugni chiusi a un talent show sviliva la canzone. Ne è sempre uscito vincente, perché conosce le dinamiche online e sa dire le cose giuste nel tono giusto. Insomma: Fedez ha un’immagine e un album da promuovere.
 
È un rapper atipico. A parte i tatuaggi, che si fa con la frequenza con cui è sui giornali di questi tempi, Silvio Berlusconi vive più da rapper di lui. Quando gli chiedono come sarebbe la sua vita se non fosse nato in periferia, immaginandosi risse e criminalità, lui risponde che a Buccinasco, Provincia di Milano, mica si vive male, è "un posto pettinato"; fa pipì ogni cinque minuti, piange continuamente e non ci prova neppure a credersi un maschio alfa; alla misoginia che caratterizza il genere lui preferisce cantare di femminicidio e di tutto ciò che troveremmo nei commenti del Fatto Quotidiano o nel blog di Lorella Zanardo, ma sempre in modo ironico, irriverente; e alle escort preferisce baciare Giulia, la sua fidanzata, conosciuta facendo goffamente lo zarro (bisogna essere zarroganti come i Dogo) fuori da un locale ma senza successo, poi raggiunta su Facebook, dove lui se la cava parecchio meglio.
 
Fedez è l’uomo del momento, quello che ha intitolato il suo ultimo album "Pop-Hoolista" in onore di Roberto Casaleggio che si era detto fiero di essere populista di fronte al suo pubblico. E infatti per il Movimento 5 stelle non ha mai taciuto una certa simpatia, dovuta all’atteggiamento iconoclasta verso il potere, lo stesso che ha lui verso il pop italiano. In più c’è la modalità dal basso, quella dei video, della rete, della (presunta ma molto sponsorizzata) meritocrazia. Perché un V-day non è poi diverso da un concerto. Perché anche lui ha costruito una rete di utenti, con i suoi video autoprodotti, con due album in free download, e nelle webseries.
 
“Un mondo senza principi ma solo re bastardi/siamo passati dal baciare i rospi ad ingoiarli”
 
La misura del successo di un rapper italiano sta nel passaggio dal centro sociale al centro commerciale. Quando questa distanza viene superata, si separano due mondi: da una parte i puristi underground, quelli che non si compromettono con il mercato (una versione sintetizzabile in Rap-Bene-Comune), dall’altra ci sono Emis Killa e Fedez, e in generale tutti quelli che alla fame hanno preferito la fama, e hanno costruito una carriera coltivando un pubblico che al Leoncavallo preferisce i talent show. La vittoria dell'industria sulle velleità pauperistiche.
 
“La pubblicità ormai mi trapana il cervello/è lei che decide cosa metto nel carrello”

 
Si fa largo un legittimo dubbio: quand'è precisamente che i rap italiani hanno deciso di essere Jay-Z senza soldi né figa. Almeno nella versione pubblica. Sembrano tutti essere cresciuti con Adorno, ma spesso non sono neanche diplomati. Dovessimo tracciare un identikit dell’ascoltatore leggendo i loro testi, ci aspetteremmo un cassintegrato urlare dalla balconata di Santoro: “Ci rubano il futuro ai nostri figli”. E invece no, sono tutti giovani: giovani vecchi. In queste rime si unisce l’etichetta Degrado Morale alla televisione spazzatura della D’Urso (bersaglio facile al limite della ruffianeria). Se il rap commerciale americano esibisce il capitalismo come forma di successo, di democratizzazione e di emancipazione sociale, quello italiano è spesso più orientato alla pedagogia, all'invettiva contro una classe dirigente, un po' moralista e qualunquista, con un sentito pregiudizio verso il futuro. Fedez rappa senso civico da studentello del liceo artistico che fuma coi compagni e sogna il disco di platino. A lui è successo così.

 

[**Video_box_2**]Perché se vende 250 mila dischi ha ragione lui, mica noi; perché l'incoerenza di un ventiquattrenne si aggiunge a quella di chi ha un prodotto da vendere e si azzerano, ché come un politico o una popstar, si segue il mercato e il desiderio del pubblico (o dell'elettorato). Nei temi è più simile a Crozza e Sabina Guizzanti che a Guccini, tuttavia sarebbe ingeneroso e sbagliato snobbarlo per questo. Raggiunge un pubblico, con cui ha un continuo feedback via commenti, e che vede in lui un ragazzo in cui immedesimarsi, un fidanzato romantico, un figlio con la testa sulle spalle.

 

“Noi contro loro, noi contro loro/Siamo così senza futuro che pure i veggenti perdono il lavoro”
 
Noi e loro. Diretto e immediato: sempre incoerente. Nella stessa intervista Fedez è in grado di sostenere che in Italia non c'è futuro per i giovani e contemporaneamente rivelare che la sua neonata casa discografica, fondata per far saltare intermediari che mangiano troppe fette della torta, fa girare oltre tre milioni di euro in contratti. Lui è la conferma che una persona con talento e ambizione ce la può fare. Eppure, non ha intenzione di ispirare nessuno, anticipa le critiche, crea complicità con il suo pubblico, a volte in contrasto con se stesso. L'incoerenza tipica del successo. A quando un tavolo alla Leopolda?

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