Papa Francesco durante la messa d'apertura del Sinodo (foto LaPresse)

Non è il sesso degli angeli, bellezza

Giuliano Ferrara

Se le danno di santa ragione, i padri sinodali. La riapertura del Concilio è ora alla conta episcopale, in attesa della parola finale del Papa. In ballo il mondo, il sesso, l’indissolubilità. Roba forte.

Gli uomini del Papa, una gerarchia nutrita di tradizione, di cultura, di universalismo, stanno attraversando una stagione a suo modo eroica. Non si accapigliano sul sesso degli angeli. Discutono e litigano cum Petro, pronti a riunirsi sub Petro quando Francesco, alla fine di un lungo giro conciliare (il Sinodo in due puntate su sesso, famiglia, vita e umanità che è un Vaticano III) parlerà e dirà il suo “Roma locuta”. Intanto i padri ne pensano e ne fanno di ogni tipo, autorizzati da un pontefice che li vuole svegli e garanti di un processo di rivolgimento che il tempo soltanto potrà riscattare o chiarire. Il cardinale tedesco aperturista intima di malagrazia ai confratelli africani di tacere sui problemi che la loro cultura considera un tabù (l’omosessualità). I dottrinari pregano sulla tomba di Pio XII e invocano un miracolo risanatore che conservi la dottrina e preservi la chiesa da un dialogo subalterno con il mondo secolare. Gli scrivani, menti sottili e pericolose, farciscono le Relationes di espressioni mutuate dalla filosofia e teologia del pensiero debole: la chiesa loro non è più madre o maestra ma discente, e prende lezioni di umanità dalla gay culture. Pezzi da novanta dei cinque continenti emendano, respingono, organizzano maggioranze e minoranze di blocco su questioni decisive per l’identità cristiana: l’indissolubilità matrimoniale e il significato del sacramento eucaristico, la cui somministrazione gerarchica fu il cuore della Riforma cattolica e della guerra alle eresie luterane, agli scismi calviniani, con la particolare inflessione rigeneratrice dell’autorità che seppero infondere al rito i gesuiti. Uno dei quali, sorpresa plurisecolare, è diventato vescovo di Roma.

 

Sullo sfondo, domenica mattina, sta la beatificazione di un Papa grande e pieno di tormenti, Paolo VI, il quale preparò, con gesto primaziale assoluto, attraverso l’Humanae vitae sull’amore coniugale e la procreazione secondo natura, l’epoca indimenticabile della Veritatis splendor: un’altra enciclica che propose autoritativamente la guerra al relativismo e la dottrina morale della fede e della cultura razionale cristiana. Fu il culmine del papato lungo di s. Giovanni Paolo II e del successore, l’emerito Papa teologo tedesco firmatario dei principi non negoziabili, Benedetto XVI. Al centro di tutto, come ha annotato la mente lucida di uno dei protagonisti del Novecento cattolico, Camillo Ruini, scrivendo nel blog di Sandro Magister, sta la libertà di coscienza, che discende dalla rivoluzione conciliare, dalla Costituzione apostolica sulla chiesa (Lumen gentium) e dalla Dignitatis humanae, un decreto conciliare che libera il cattolicesimo dalla dannazione dell’esclusivismo settario nato durante l’assedio illuminista alla chiesa di Roma (l’infame da schiacciare secondo Voltaire).

 

Ratzinger e Giovanni Paolo avevano cercato di reinserire le novità dirompenti del Vaticano II nella continuità dottrinale e morale del cristianesimo, ma dopo di loro si apre il vaso di Pandora. Se l’esistenza va misurata sul pluralismo delle fedi e sul pluralismo della persona e della sua libertà nella fede, allora tutto è possibile. Il benvenuto alla cultura gay e al secondo matrimonio trovano legittimazione in questo ancoraggio al grande mito moderno dell’autodeterminazione personale, per quanto sofferente, problematica. La gente vive così e la chiesa deve parlare il linguaggio del mondo, non ha altri spazi che non la rincorsa fervorosa e misericordiosa. Su tutto aleggia lo staffile pastorale di papa Francesco, durissimo castigatore del legalismo fariseo, cercatore di un’originalità evangelica che si può esprimere solo in una chiesa missionaria, l’ospedale da campo in cui la cura dei feriti sostituisce la cura d’anime come innalzamento alla redenzione attraverso la purificazione, anche sacramentale, del peccato.

 

E’ vero quanto scriveva ieri Alberto Melloni nel Corriere della sera, quanto dicevano i cardinali bergogliani intervistati dai grandi giornali: più che una riforma del matrimonio cattolico, più che una ridefinizione del gender e della sessualità, la chiesa di Bergoglio cerca di instaurare un ciclo conciliare nuovo, di far funzionare la collegialità episcopale, di aprirsi e riaprirsi alla storia dalla quale con Benedetto XVI sembrava fatalmente esclusa. L’accento missionario del gesuitismo contemporaneo, ricollegandosi alla dolcezza misericordiosa e alla spiritualità dei precordi della Compagnia, è quello che conta. Però le idee, e anche la virtù della misericordia, non fanno salti. Devono fare i conti con le cose di dottrina e con il vangelo sine glossa, con la tradizione e le sue fonti. Danneels e Fernández e Kasper e gli altri novatori hanno voglia di spingere avanti il carro volontaristicamente, non possono tuttavia evitare le pietre di inciampo. Il sesso squassa la vigna del Signore, come un tempo il cinghiale selvatico, Lutero. Perché il Papa che insediò la Compagnia di Gesù diede un ducato al figlio illegittimo, i conventi nel primo Cinquecento erano luogo di discordia, di meretricio e di abuso, eppure a nessuno era mai venuto in mente di mettere pastorale e teologia al servizio di culture libertine. Anche queste virate spericolate sono parte di un fine santo, dal punto di vista della chiesa di Cristo, ma i mezzi scelti contraddicono il fine.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.