Idiozia perbenista

Quella “razzista” di Pippi censurata dalla tv svedese

Giulio Meotti

Chissà se la scrittrice Astrid Lindgren avrebbe mai immaginato di diventare una reproba, lei che aveva votato tutta la vita per i socialdemocratici e che si era impegnata per i diritti di tutti, dagli animali ai migranti.

Roma. Chissà se la scrittrice Astrid Lindgren avrebbe mai immaginato di diventare una reproba, lei che aveva votato tutta la vita per i socialdemocratici e che si era impegnata per i diritti di tutti, dagli animali ai migranti. Nel 1988 era bastato che la celebre scrittrice sollevasse il problema con una serie di favolette allegoriche perché la Svezia intera insorgesse e il sensibilissimo governo di quella sensibilissima nazione approntasse in gran fretta una sensibilissima “Carta dei diritti del pollo”. Il pollo di batteria svedese doveva godere di maggiore “spazio di razzolamento”.

 

Due giorni fa la televisione svedese ha deciso di tagliare alcune scene dell’adattamento televisivo del 1969 tratto dal bestseller di Lindgren, “Pippi Calzelunghe”. La nuova versione andrà in onda a dicembre, ma con i tagli politicamente corretti. Non ci sarà più la frase “il re dei negri”, ma soltanto “il re”, né la scena in cui Pippi “fa il cinese”. L’autorità di vigilanza sulla tv ha deciso che sono immagini “offensive”: “Viviamo in una società multiculturale con bambini di etnia differente”, ha detto Paulette Rosas Hott, a capo dei programmi della televisione. Saltkråkan AB, la casa editrice che detiene i diritti di “Pippi Calzelunghe”, ha approvato i tagli perbenisti. La scorsa settimana una mamma di colore, in visita al parco a tema di Junibacken, aveva protestato contro la vendita di t-shirt che raffiguravano Pippi circondata da bambini neri intenti a farle aria con grandi foglie di palma.

 

[**Video_box_2**]Anche i cartoni di “Tom & Jerry” sono stati appena accusati da Amazon di contenere “pregiudizi etnici e razziali”. L’avviso è apparso su Amazon Prime Instant Video, il servizio di video on demand del colosso di Jeff Bezos. In Germania l’editore Friedrich Oetinger ha tagliato le parti “razziste” di Pippi. Già il ministro tedesco della Famiglia, la sociologa Kristina Schröder, aveva demonizzato quel “libro razzista”, perché il padre di Pippi viene chiamato “Negerkönig” (“re dei negri”). Il ministero tedesco ha proposto di trasformare “il re dei negri” in “il re dei Mari del sud”. Una censura toccata anche alla “Piccola strega”, uno dei libri per l’infanzia più amati in Germania. Il testo, datato 1957 e tradotto in 47 lingue, parla di una giovane fattucchiera che ambisce a diventare strega, andandosene in giro sulla sua scopa incontrando “negretti”, “zingari” e “cinesine”. Di recente la casa editrice Thienemann ha pubblicato una versione edulcorata senza queste parole.

 

Dalla piccola fiammiferaia a Willy Wonka

 

Una moda che nel nord Europa è iniziata nel ’68, quando Cappuccetto non poté più vestirsi di rosso, ma di giallo e blu. Anni duri anche per il lupo della fiaba. Duri i commentatori. “Chi crede che l’arte debba essere cambiata per non contraddire la morale prevalente deve essere stato felice quando nel 2001 i talebani hanno distrutto i Budda di Bamiyan”, ha scritto Jacques Schuster sulla Welt. Anche “Il mangiasogni” di Michael Ende, l’autore della “Storia infinita”, è stato editato dove compariva la parola “negro”. Da “Charlie e la fabbrica di cioccolato” di Roald Dahl era scomparso il riferimento ai pigmei che Willy Wonka riporta dall’Africa. Non si salva J. R. R. Tolkien, perché i volti deformi dei suoi nani e orchi sarebbero “una sentina del pregiudizio razziale”. Stessa sorte per Agatha Christie e i suoi “Dieci piccoli indiani”, che alcuni vogliono rivedere perché nella versione pubblicata nel 1939 si intitolava “Dieci piccoli negri”. C’è poi Hans Christian Andersen. La sua piccola fiammiferaia in Danimarca non muore più di freddo allo spegnersi dell’ultimo bastoncino: troppo crudele. Il “vecchio cinese” di “La pastorella e lo spazzacamino” è diventato “il vecchio uomo”. Puzzava di razzismo. Andersen “nemico dei poveri”, proprio lui che era il figlio di un ciabattino e di una donna che finì i suoi giorni in un ospizio per alcolizzati.

 

Tempo fa la scrittrice Molly Jong-Fast  lamentava che il politicamente corretto stesse diventando un “nuovo maccartismo” e che l’establishment letterario richiedesse, per prenderti sul serio, argomenti come “i bambini che muoiono di fame in Africa”. Adesso Pippi, la ragazza svagata con le lentiggini e le buffe trecce, che indossa lunghe calze di lana alla moda contadinesca, non offenderà più nessuno. Quella bugiarda, immorale e menefreghista.

 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.