FATE PRESTO

Redazione

Il titolo con il quale apro il Sole 24 Ore l’ho rubato a un illustre direttore – io stesso – e a un quotidiano glorioso, questo. I quali il 10 novembre 2011 l’avevano copiato da un altro glorioso quotidiano, il Mattino di Napoli. “FATE PRESTO”, titolava a caratteri cubitali nel 1980 dopo il terremoto in Irpinia.

Il titolo con il quale apro il Sole 24 Ore l’ho rubato a un illustre direttore – io stesso – e a un quotidiano glorioso, questo. I quali il 10 novembre 2011 l’avevano copiato da un altro glorioso quotidiano, il Mattino di Napoli. “FATE PRESTO”, titolava a caratteri cubitali nel 1980 dopo il terremoto in Irpinia. “FATE PRESTO” titolammo noi per salvare l’Italia sotto altre macerie, quelle che rischiava di creare la speculazione finanziaria al massimo livello. Lo spread tra i nostri Btp e i Bund tedeschi arrivò in quei giorni a superare i 570 punti. Non ce lo saremmo potuti permettere a lungo. Un governo di grande coalizione, retto però dal tecnico depoliticizzante Monti, ha messo delle pezze. Riforma delle pensioni che ci invidiano in tutta Europa, quache liberalizzazione, perfino qualche taglio di spesa, seppure a fronte di un inasprimento fiscale che ha colpito anche la nostra categoria di industriali, visto che l’Imu pesa pure sui capannoni. Quel governo – a onor del vero – avviò pure lo sfoltimento dei sussidi pubblici alle imprese, con la promessa di abbassarci le tasse. Noi ne scrivemmo, ma perfino nella nostra Confindustria al tempo non devono averci creduto fino in fondo.

 

Acqua passata. Oggi, come in quel novembre 2011, torniamo in campo per chiedere decisioni rapide per le nuove minacce, mai tanto gravi nel Dopoguerra: disoccupazione, decrescita, marginalizzazione sui mercati. Il nostro appello va a Matteo Renzi: attui la riforma del lavoro e superi l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori senza farsi imbrigliare dalle retroguardie politiche e del sindacato. Ma va soprattutto a tutti gli imprenditori, a cominciare da quelli di Confindustria e a chi ne è uscito avendo visto in anticipo. L’ad di Fiat, Sergio Marchionne, aveva ragione, ora lo ammettiamo, augurandoci di marciare fianco a fianco per testimoniare il ruolo e l’orgoglio recuperato di classe dirigente, abbandonando una consociazione condannata non dall’Europa, ma dalla realtà. E’ urgente che gli imprenditori, anche con uno sforzo organizzativo, ribattano alla mobilitazione dei sindacati. Con la forza delle cifre, delle idee e dei loro nomi, i nomi che hanno ricostruito l’Italia diffondendo lavoro, benessere e prestigio nel mondo quando statuti e dogmi non esistevano: i Barilla, i Ferrero, anche gli Squinzi, i centomila capi d’impresa piccoli e grandi chiamati a svelare l’inganno montante in queste ore: che abolire il reintegro giudiziario obbligatorio porti licenziamenti di massa, mentre tutto il mondo dimostra il contrario. La marcia dei 40 mila salvò la Fiat nel 1980. Marchionne l’ha salvata ancora trent’anni dopo. Due momenti nei quali sulla prudenza, la tattica e l’ignavia prevalse l’orgoglio e il coraggio di esporsi. E’ di nuovo l’ora. Imprenditori, facciamo presto.

 

Il Foglio, venuto in possesso dell’editoriale con il quale si dovrebbe aprire a giorni il Sole 24 Ore, lancia una sottoscrizione agli imprenditori di buona volontà che volessero contribuire a nostre ulteriori inchieste giornalistiche sugli effetti nefasti dell’articolo 18. Per donazioni, scrivete a [email protected]

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