Il nuovo ministro dell'Economia francese, Emmanuel Macron (Foto AP)

Un tango con Macron

Paola Peduzzi

Ha trentasei anni, ha studiato nei migliori istituti di Francia, ha vinto premi suonando il pianoforte, è stato assistente di Paul Ricoeur, filosofo stimato, balla il tango, sa il tedesco, ora è ministro dell’Economia nel secondo governo Valls, e tutti parlano soltanto di quanto è figo.

Fosse una femmina, Emmanuel Macron avrebbe già fatto finta di offendersi. Ha trentasei anni, ha studiato nei migliori istituti di Francia, ha vinto premi suonando il pianoforte, è stato assistente di Paul Ricoeur, filosofo stimato, ha lavorato alla Rothschild e all’Eliseo, balla il tango, sa il tedesco, ora è ministro dell’Economia nel secondo governo Valls, e tutti parlano soltanto di quanto è figo. “Il ministro più sexy del governo francese”, cinguettavano estasiate alcune tuittarole francesi commentando la sua prima uscita pubblica la settimana scorsa, “è un po’ basso”, puntualizzava una, “ma è così carino”, interveniva un’altra, mentre Macron parlava di austerità, 35 ore, legge per la crescita, riforma del mercato del lavoro e altre sciocchezze del genere. “Manu”, come lo chiamano gli amici, naturalmente non se l’è presa, è un maschio, e comunque preferisce che si discuta dei suoi occhioni blu piuttosto che del suo conto in banca (gli hanno fatto dichiarare subito quanto ha guadagnato a Rothschild, due milioni di euro lordi in due anni, ma per lavar via la lettera scarlatta del banchiere-finanziere-squalo ci vorrà ben altro, visto che non si fa che parlare del suo appartamento nel XXV arrondissement e della casa al lussuoso Touquet).

 

Tempeste ormonali a parte, Macron è il ministro francese che più fa parlare di sé (è sulla copertina dell’Express e del Nouvel Observateur in edicola), perché è stato scelto come simbolo e possibilmente autore di quella svolta socialdemocratica di cui il presidente, François Hollande, parla da tempo e che ancora non si è vista. E’ l’anti Picketty, insomma, l’altra star dell’economia francese che quest’anno ci ha tenuti occupati con il suo tomo sulla diseguaglianza: nel linguaggio di Macron, Picketty finirebbe nella categoria degli “archéo-keynésiens”, quelli che spendono soldi pubblici, ma non ne fanno entrare. Nel gioco degli opposti, Macron è anche e soprattutto l’anti Montebourg, l’uomo di cui ha preso il posto e che, sempre per restare nelle definizioni del neo ministro, può tranquillamente essere designato come il capo degli “spartakistes”, la banda dei criticoni (un dettaglio sulla cacciata di Arnaud Montebourg: il 10 settembre esce una biografia dell’ex ministro anti globalizzazione, dal titolo “Montebourg. Moi, président…”, in cui Hollande viene trattato peggio di come fa la sua ex compagna Valérie nel memoir uscito ieri in libreria: “C’è un motivo per cui è al 20 per cento nei sondaggi – dice Montebourg – Mente. Mente sempre. Lo fa dall’inizio”. Cioè: se la stava cercando, la cacciata).

 

Macron è un liberale – “ultraliberale”, dicono con disprezzo i suoi detrattori, che sono per lo più i suoi compagni del Partito socialista, che lo detestano senza quasi sapere chi sia – crede nella crescita, negli investimenti, nelle aziende, nelle riforme. Uno di destra, insomma, che fa il paio con l’altro criptodestrorso che guida il governo, Manuel Valls.

 

Macron risponde che ha la tessera dei socialisti da quando ha 24 anni, che ha da sempre voluto lavorare con la gauche e che crede negli ideali della gauche, ma le sole dichiarazioni non sarebbero sufficienti per calmare chi lo considera un opportunista che si è sistemato dove trovava posto senza mai essersi candidato a un’elezione: per sua fortuna, Macron ha detto di no a Nicolas Sarkozy che lo voleva nel suo staff quand’era presidente, almeno nel curriculum non ci sono altre macchie inaccettabili per i socialisti. Ma per essere tollerato, Macron ha tanto da fare. Da quando è ministro ha già dovuto spiegare più volte che cosa significa essere di sinistra. “Appartengo a una generazione che non è prigioniera dei dogmi – ha detto al Nouvel Observateur – Essere di sinistra vuol dire essere efficaci per sbloccare quel che paralizza l’economia.

 

Stare sul fronte, lottare per difendere le aziende, l’artigianato, l’economia sociale e solidale”. Due giorni fa, alla sua prima visita a un sito industriale, è stato interrogato su quel che significa per lui essere di sinistra e, tra un desiderio di innovazione e uno di distribuzione equa dei costi e dei benefici nell’economia, ha detto una frase meravigliosa: “Non è vietato essere di sinistra e di buon senso”, aggiungendo poi il pensiero di uno dei suoi riferimenti personali: “Se non si produce, dice da sempre mia nonna, non c’è niente da distribuire”. La grand-mère non è soltanto un espediente retorico per infilare un po’ di tradizione in un ragazzo tanto giovane: la nonna è stata direttrice di un collegio, cresciuta in una famiglia di analfabeti, e lo ha iniziato a quella che in casa chiamano “la sinistra concreta”. E’ per questo che Macron si considera più un tecnico che un politico: ha studiato a Sciences Po, scartato di un soffio dall’Ena che poi ha frequentato ma soltanto per un corso di specializzazione, e ha inizialmente pensato alla carriera universitaria.

 

[**Video_box_2**]Poi si è lasciato attrarre da Rocoeur, perché gli piace stare con persone più anziane, “hanno tanto da raccontare”, e così si è messo a studiare filosofia, mentre continuava a suonare, sempre meglio, il pianoforte (nell’elenco delle persone agée che affascinano il ministro, il Nouvel Observateur mette, con parecchia maleducazione, la moglie di Macron: Brigitte Auzière era professerossa di francese al liceo che frequentava Manu, sono sposati dal 2007, lei ha vent’anni più di lui, e con questo il cinguettìo ormonale può anche tacere per sempre). La politica è arrivata dopo, ma senza troppa ideologia, semmai con parecchio fiuto: quando la candidatura di Dominique Strauss-Kahn non era ancora stata affossata dall’istinto da scimmione, tutti i giovani liberali entravano nel team dell’allora presidente del Fondo monetario internazionale. Macron ne restò fuori, poi iniziò a dire che Hollande era quello con le chance migliori, e si avvicniò a quel mondo.

 

L’intuito non lo ha tradito, anche se di chance, oggi, per l’Eliseo di Hollande, non ce ne sono più così tante. Anzi: l’emergenza è già stata dichiarata da tempo. Il 16 settembre Valls chiederà la fiducia all’Assemblea nazionale, entro il mese sarà presentata la legge sulla crescita e il potere d’acquisto, cui è appesa la credibilità di Macron. Lui dice che si farà, che non vuole parlare ma che mostrerà i risultati, che i giornalisti non gli vanno a genio perché costringono a dichiarazioni che potrebbero essere benissimo evitate. C’è chi dice che il suo ego sia troppo ingombrante e finirà per schiacciarlo, c’è chi vuole imparare a fidarsi. Per Renaud Machart del Monde, Macron possiede due virtù cardinali che rendono la vita sopportabile: suona il piano divinamente (lo chiamano “il Mozart della Finanza”) e ha senso dell’umorismo. Soprattutto, a differenza del suo normalissimo presidente, ha l’aria di uno che va di fretta.

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi