Vladimir Putin e Sergei Lavrov (Foto AP)

I confini del conflitto

La guerra “ibrida” in Ucraina è finita, ora si parla di atomiche tattiche

Anna Zafesova

Kiev pensa alla legge marziale, Lavrov abbassa i toni, ma Putin ha il pretesto della “Novorossia” e non l’abbandonerà.

Milano. La guerra “ibrida” è sempre meno ibrida. Dai video diffusi dagli ucraini si vede che le due motovedette colpite domenica nel mare di Azov erano state sorvolate da jet, forse russi visto che i separatisti – che insistono di aver sparato da terra con l’artiglieria – non hanno per ora un’aviazione. Ma hanno tutto il resto, dai missili antiaerei ai carri armati. E hanno centinaia di parà russi, che in pochi giorni hanno ribaltato le sorti della guerra. Gli ucraini preparano la ritirata dal porto di Mariupol’ e dagli aeroporti di Lugansk e Donetsk, strappati ai guerriglieri qualche settimana fa. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, sta pensando all’introduzione della legge marziale e il suo ministro della Difesa, Valeri Heletey, non esclude che Mosca possa usare contro gli ucraini atomiche tattiche. Le assicurazioni del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che “la Russia non ha intenzione di intervenire militarmente” in questo contesto non guadagnano nemmeno lo status di una breve sui siti di news.
Ma soprattutto è Vladimir Putin a parlare. Parla ogni giorno, ai tg e alle conferenze, e accoglie perfino un atto di insubordinazione come quello dell’inviato della Bbc che ieri lo ha distratto mentre ammirava in un museo della Jackuzia uno scheletro di mammut e chiedeva se si potesse clonare. Al giornalista britannico Putin ha spiegato “il senso dell’operazione militare nell’est”, facendosi portavoce dei separatisti che “vogliono salvare i civili delle loro città allontanando le truppe ucraine”.

 

E ha rinnovato l’appello a Kiev a lanciare con i ribelli “un dialogo dai contenuti politici”, dopo che il giorno prima aveva chiesto “negoziati sull’organizzazione statale della Novorossia”, come chiama l’est filorusso.

 

Putin parla troppo, almeno per i suoi parametri. Ha osservato per un mese un silenzio assordante, mentre Mosca abbassava i toni dopo la tragedia del Boeing e le sanzioni. Di solito si eclissa quando si sente in svantaggio. Se diventa loquace – nelle sue modalità, per cui insiste che la Russia è estranea al “conflitto interno ucraino” – vuol dire che sente di avere un’idea da cavalcare.

 

Dopo idee di medio calibro, come le controsanzioni alimentari e il gioco al convoglio umanitario, la nuova carta che considera vincente sembra la Novorossia, la mitica “Nuova Russia” degli zar che Putin definisce “regalata” a Kiev. A Mosca si tengono conferenze su questo stato mai esistito e un gruppo di illustri accademici sta preparando in tutta fretta una monografia  sulla sua storia che dovrebbe dare una base “scientifica” alle rivendicazioni russe. Che la Novorossia comprenda otto regioni del sud-est ucraino, incluse quelle che non hanno mai guardato a Mosca, appare irrilevante. Anche perché l’Unione europea nell’ambito delle nuove sanzioni potrebbe etichettare le “repubbliche popolari” di Donetsk e Lugansk organizzazioni terroristiche, e quindi vanno sostituite con uno “stato” virtuale che ha già la sua bandiera: il tricolore dei Romanov con l’aquila imperiale come stemma.

 

Un cambiamento che probabilmente segna anche l’avvicinamento all’orecchio presidenziale di un nuovo clan, nella gara permanente a chi offre allo zar il “progetto” migliore per la sua agenda. Le “repubbliche popolari” con il loro culto del minatore e la retorica sovietica vengono sostituite dalla gloria dell’impero che fu, più consono ai gusti conservatori di Putin. La Novorossia sarà il nuovo filo conduttore  del Cremlino, in attesa che arrivi il freddo e l’arma del gas diventi letale. Diversivi tattici, la strategia non cambia: Mosca non può “perdere la faccia” e abbandonare i separatisti sotto la pressione occidentale. Poroshenko non può perdere un altro pezzo dell’Ucraina dopo la Crimea, anche perché a differenza di Putin vive in una democrazia e c’è sempre un Maidan pronto anche per lui. Ma anche l’Europa ormai marcia su una strada senza deviazioni, e il capo della diplomazia tedesca Frank-Walter Steinmeier parla della “ultima fase del conflitto” ormai alle porte. Bruxelles non accetta l’implicita proposta di Mosca di riconsegnarle l’Ucraina in una specie di nuova Yalta, ma ripete che la crisi “non ha una soluzione militare”. Putin crede alla soluzione militare e la sta praticando. E in tutti i suoi discorsi non ha mai menzionato la presenza di militari russi in Ucraina, nemmeno per smentirla. Lascia il compito di negare ai suoi ministri e deputati, probabilmente tenendosi libero – come aveva già fatto per la Crimea – di ammettere a un certo punto che gli “omini verdi” russi sono oltre confine, magari non in Ucraina, ma in Novorossia.