Carlo Cottarelli (foto LaPresse)

Partì per tagliare e restò tagliato. Cottarelli e la ripoliticizzazione della democrazia

Redazione

E così il commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, si dimette. Anzi no. O forse sì.

E così Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, si dimette. Anzi no. O forse sì. Strana altalena, con l’imbarazzo del severo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, i tentativi di salvare tutto in angolo del sottosegretario Graziano Delrio, e la faccia dura di Matteo Renzi, che brusco, frena il pendolo durante la segreteria del Partito democratico: “La revisione della spesa la facciamo comunque. Con o senza Cottarelli”.

 

Quello di Cottarelli è stato un sentiero agevole dapprima, poi a poco a poco impervio e come oscurato in una foresta, con il parto laborioso di quei venticinque misteriosi dossier sui tagli irrinunciabili che tuttavia nessuno ha mai avuto il privilegio di vedere (e qualunque giornale pagherebbe, e molto, anche sottobanco, soltanto per poterli sbirciare anche pochi secondi). Insomma finisce così, o quasi, dopo otto mesi passati dal supercommisario in incontri appartati, a tu per tu, con quasi ogni giornalista d’Italia, otto mesi di relazioni pubbliche, annunci sussurrati, interviste, mormorii allusivi, svolte sempre dietro l’angolo o al di là da venire, gran lavorìo indecifrabile, un sordo sforbiciare a vuoto. Invece finisce così, a sbuffi, sbadigli, lamentele sul Corriere della Sera. Con la strana accusa di troppo pedalare, d’essere fantuttone e autoritario, scagliata contro Renzi dal solito establishment floscio che non difese il tecnocrate Monti e che adesso accusa il premier ragazzino addirittura d’illiberalità. Nemesi, appunto. Illiberale perché tira dritto nella riforma del Senato, illiberale perché comprime l’ostruzionismo della minoranza interna al Pd, illiberale, infine, perché snobba Cottarelli.

 

Illiberale perché non perde tempo. Paradosso, paradossi, nel paese in cui essere democratici liberali evidentemente significa far eleggere per soli tre mesi Giuseppe Tesauro alla presidenza della Consulta e garantirgli così onori e altissimo stipendio. Quant’è illiberale la democrazia che pedala! Cottarelli fu assunto da Enrico Letta a novembre del 2013, chiamato in pompa magna dal Fondo monetario internazionale, niente meno, combine americana dopo la tecnocrazia di Monti, il professore che aveva creato per Enrico Bondi il nuovo, speciale, incarico di commissario alla spesa.

 

Arrivò lui, dunque, Carlo Cottarelli, tecnico nel governo dei mezzi tecnici, un economista con uso di mondo, che subito si fece intervistare al Tg5 e da Lilli Gruber, e che nei successivi otto mesi ha ricevuto nel suo studio tutti i cronisti economici della penisola, ma sempre in via riservata, taccuino chiuso o quasi aperto. E dunque mezze interviste, mezze veline e mezzi tagli. Cottarelli arrivò a Roma attraverso quei dedali sotterranei e internazionali con i quali Renzi non ha dimestichezza: erano i mesi in cui Beppe Grillo, accompagnato dal lanoso Casaleggio, trovava Enrico Letta ad attenderlo nel salotto di casa dell’ambasciatore inglese a Roma e avendolo visto, se ne andava, sbattendo la porta e blaterando di Bilderberg e massoneria internazionale. E chi non se lo ricorda? La massoneria c’entra poco, ovviamente, ma la combine internazionale c’entra eccome. Tutto un labirinto di strade, di passaggi, di sentieri sottomarini che Renzi, come si è visto in questi ultimi mesi, non pratica. E difatti, quando Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, gli ha chiesto di nominare Letta commissario a Bruxelles, Renzi ha risposto all’incirca così: non se ne parla nemmeno,  questi sono esercizi di mediazione, queste sono nomine che spettano ai partiti, ai parlamenti, alla democrazia degli eletti, e qui noi proponiamo Federica Mogherini.

 


Adesso Renzi snobba Cottarelli e diventa illiberale. E lui, il commissario che non ha commissariato niente, di conseguenza se ne va. Anzi no. O forse sì. “Non c’è nessun caso Cottarelli”, dice il saggio Delrio. “Non rispondo a queste domande”, arrossisce il rigido Padoan. E poi arriva Renzi, il bullo che non dissimula: “Facciamo i tagli alla spesa. Con o senza Cottarelli”. E il senso di questo tramestio italiano, accompagnato da tromboni e tenori giornalistici, è in realtà abbastanza chiaro: è un caso di ripoliticizzazione della democrazia. Punto. Il premier decide, ha fretta, ragiona da politico, insomma cerca voti e consenso, amministra da sindaco d’Italia. Dunque le redini della spesa le tiene per se, i tagli li fa lui. Con Cottarelli, se c’è. Senza Cottarelli, se Cottarelli se ne va. Chiamatelo pure illiberale.