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Ali-taglia

Redazione

I sindacati vivono in un mondo che non esiste. Urge bagno di realismo.

La questua sindacale sull’Alitalia deve finire. Non c’è solo la minaccia a un’azienda privata e al governo di far saltare l’accordo con Etihad; ricatto suicida perché poi c’è solo il fallimento. No: è l’ennesima dimostrazione di ignoranza del contesto economico e delle prospettive del trasporto aereo, che ha retto alla crisi lì dove si è ristrutturato. Infine c’è la consueta insensibilità verso quel “bene comune” del quale le confederazioni si considerano depositarie. Susanna Camusso della Cgil proclama che “non esiste un prendere o lasciare”: ma in che mondo vive? Lo vada a raccontare ai dipendenti della Chrysler, che se nel 2009 avessero lasciato oggi sarebbero tutti a spasso e invece lavorano in un’azienda risanata e sono più ricchi di prima. Lo chiedano ai colleghi licenziati da Air France e Lufthansa quei piloti e hostess che, in nome della democrazia, minacciano il blocco dei voli e dimenticano che il loro salvataggio nel 2008 è stato pagato dai contribuenti, con indennità e modalità di cassa integrazione che non trovano riscontro da nessun’altra parte, mentre chi si è messo sul mercato ha trovato una ricollocazione. Quando Raffaele Bonanni suggerisce di trasferire gli esuberi alle Poste, dove la Cisl è il sindacato di riferimento, trascura che le stesse Poste, pagate da tutti noi, hanno ben 140 mila dipendenti, fatto che ne ostacola l’efficienza e la privatizzazione. In tutto questo cosa c’entra la democrazia? Un dipendente Alitalia ha più diritti di un tornitore? Il sindacalismo anni Ottanta proclamò che il salario era una variabile indipendente, soffiando sul fuoco. A decenni di distanza certe teste non sono cambiate, ma devono cambiare.