Nichi Vendola, leader di Sel (Foto La Presse)

Il dramma di Vendola prigioniero di un partito a vocazione renziana

Marianna Rizzini

Sono giorni duri, per Nichi, giorni in cui, per non tuffarsi nell’irrilevanza, per non lasciare spazio a Grillo che fa il buono, e per non dare vantaggio a chi salta sul treno delle riforme, ci si spacca pur senza lasciarsi, in Sel.

Roma. “Il sì al dl Irpef non è uno scivolo per progressivamente avvicinarsi all’area di governo. Immunizzarsi da conformismo è sempre igienico”. E’ un tweet di Nichi Vendola, scritto ieri alle ore 15 e 10, dopo il voto alla Camera con cui Sel ha approvato il decreto Irpef, quello degli ottanta euro (su cui, il giorno precedente, Sel aveva negato al governo la fiducia). Sono giorni duri, per Nichi, giorni in cui, per non tuffarsi nell’irrilevanza, per non lasciare spazio a Beppe Grillo che fa il buono, e per non dare vantaggio a chi salta sul treno delle riforme, ci si spacca pur senza lasciarsi, in Sel, a parte i due deputati Michele Ragosta e Ferdinando Aiello già passati al Pd (gli ammutinati del “sì” al decreto di Renzi votano comunque come gli altri per disciplina di partito – al massimo non si presentano, come dimostra l’alto numero di parlamentari di Sel ieri assenti, o si astengono, come Giorgio Airaudo e Giulio Marcon).

 

L’aveva presa alla lontana, Vendola, qualche giorno fa, all’assemblea nazionale del suo partito, quando, sugli 80 euro di Renzi, aveva dato prova di narrazione intorcinata anzichenò. Puro contorsionismo verbale era infatti la frase sulla discussione in corso [**Video_box_2**]nella sinistra-sinistra: dobbiamo “decidere laicamente”, diceva, se “accentuare il lato redistributivo o il problema delle coperture”, e dunque se votare sì, astenersi o votare no al decreto approvato appunto ieri alla Camera, dopo una notte di coltelli e tormenti in cui la linea del “sì”, portata avanti dal capogruppo Gennaro Migliore, si è imposta 17 a 15 su quella del “no”, difesa dal deputato Nicola Fratoianni. Facciamo decidere ai parlamentari, diceva Nichi nel fine settimana, portando Sel a votare la linea dell’essere opposizione, sì, ma discorsiva e gentile, tanto più che la svolta dialogante di Beppe Grillo costringeva all’accelerazione, pena la caduta nel limbo di chi c’è ma conta la metà di niente. E pensare che lui, Vendola, l’aveva detto, ai suoi, che buttarsi con tutto il peso sulla lista Tsipras, tagliandosi fuori dal Pse di Martin Schulz, non sarebbe stata una mossa vincente (e anche in quel caso, prima delle europee, aveva sfiorato la lotta intestina). Ma niente: i suoi con Tsipras volevano andare, e ora Nichi deve beccarsi pure le critiche di Paolo Flores d’Arcais, che sul nuovo numero di MicroMega si strugge per la sinistra “che non c’è”, bastonando quella che non ha sfruttato “il potenziale “della società civile” ed è “rimasta con un pugno di mosche”, a gongolare per il quorum pelo-pelo della lista Tsipras ma con molti voti persi dall’anno scorso e in prospettiva (per Flores il futuro è denso di occasioni: i Cinque stelle perderanno consensi e Renzi pure, scrive, rammaricandosi per la mancanza di “un’antipolitica concorrenziale”). Ma il Vendola in ambasce non demorde, e cerca parole che tengano insieme questi e quelli, almeno fino alla prossima assemblea: “Il decreto Irpef è ricco di contraddizioni”, dice, “tuttavia interviene su una platea vasta che vive un disagio sociale straordinario…capisco che ci sia anche una forte fascinazione verso Matteo Renzi, ma siamo all’opposizione”. Tutto quello che “assomiglia a una riparazione dei danni fatti alle famiglie va bene”, dice, “ma resta una perplessità di fondo sulle fonti di finanziamento del decreto”. La realtà si specchia nel suo contrario, in Sel, mentre la deputata Titti Di Salvo annuncia il “sì” al decreto e si produce in un capolavoro di oratoria fumosa e funambolica: “L’austerity pesa, ma il governo non può cavarsela…”; “nel decreto c’è una direzione di linea economica. Sarebbe stata una linea politica di centrosinistra e questo non è un governo di centrosinistra. E’ di larghe intese. Lo si vede dal lavoro. Per questo abbiamo votato contro la fiducia al governo e abbiamo deciso di fare ostruzionismo sul decreto sul lavoro…”. Dramma tra compagni, sì, ma alla fine basta che il voto favorevole appaia anche un po’ contrario.
     Marianna Rizzini

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.