Basta una partita mondiale ed ecco che il padre perfetto torna in sé (cavernicolo)

Annalena Benini

Sono diventati così bravi, ha scritto India Knight sul Sunday Times, che pur di non ammetterlo raccontiamo con eccessiva, trionfante ilarità, storie molto noiose e davvero minuscole di incompetenza paterna.

Gli inglesi hanno perso la partita contro l’Italia e festeggiato il giorno dei papà, più o meno nelle stesse ore.  Era, domenica scorsa, la festa dei padri, che nell’ultimo secolo hanno avuto una curva d’apprendimento rapidissima e sono felicemente passati dallo stato di genitori distanti, da non infastidire con la vita quotidiana, a quello più giusto di babbi, affettuosi e capaci in egual modo di cambiare un pannolino, accompagnare a nuoto, ripassare greco, ascoltare pene d’amore di un’adolescente in lacrime e dare buoni consigli. Sono diventati così bravi, ha scritto India Knight sul Sunday Times, che pur di non ammetterlo raccontiamo con eccessiva, trionfante ilarità, storie molto noiose e davvero minuscole di incompetenza paterna (“e poi lui aveva dimenticato le salviettine e ho dovuto usare una foglia”, “e poi non gli ha messo la crema solare cinquanta sulle orecchie e il bambino si è scottato”, “e poi gli ha dato la Coca-Cola di sera, con la caffeina!”), e lo facciamo perché siamo nostalgiche, nel profondo, di un mondo in cui nessun padre, tranne i pediatri e i farmacisti (sogno amoroso di molte neo mamme apprensive), aveva idea del dosaggio della Tachipirina. Era il mondo delle madri, quello, in cui potevamo sentirci migliori, indispensabili, e dire: ci penso io, tu non sei capace, con la soddisfazione di vedere dipingersi sul volto di quel padre imbranato un’espressione mista di resa e sollievo. Vincevamo sempre noi, e raccontavamo nei diari la nostra indicibile ma soddisfatta stanchezza: anche oggi ho salvato il mondo mentre suo padre guardava la partita.

 

[**Video_box_2**]Adesso che tutto è cambiato, e in spiaggia i padri inseguono ragazzini con magliette, cappellini, frutta, termometri, ciambelle, compiti per le vacanze, sveglie che segnano l’ora del riposino, lezioni di serena convivenza con gli altri bambini e divieti di patatine, le madri prendono il sole, imbarazzate, spesso redarguite per avere concesso troppi gelati. Ma adesso, nei giorni magici dei Mondiali, anche Mister Perfettino celebra il proprio ritorno alle origini. All’indifferenza assoluta verso il resto del mondo. Solo la Gazzetta dello Sport e, in caso di trasferte, le tesserine di Sky hanno un nome e un’esistenza riconosciuta. Il padre ansioso che aveva promesso al figlio di insegnargli ad andare in bici senza rotelle su quell’isola pedonale liscia e alberata, e gli aveva comprato ginocchiere, casco, luci di posizione, specchietti retrovisori, adesso alza la testa dal giornale, scuote il telecomando, fa tremare le bottiglie di birra vuote accanto a sé e grida al bambino in attesa, con il caschetto in testa, stupefatto: forza, prendi quella bicicletta e va’ da solo, pappamolle, non lo vedi che sto lavorando? E’ quello il momento in cui si insinua, immediata, la rivincita delle madri. Che accorrono per consolare, sostituirsi, ritornare ai fasti di un tempo. Il papà non è cattivo, amore, solo che quando gioca la Germania si agita un po’, non rimanerci male, ci sono qui io. Le madri, l’avrete notato, non si lamentano dell’impazzimento dovuto ai Mondiali, sono in bilico fra la preoccupazione e l’euforia, come quando la prima ballerina si è rotta un tendine e tocca a noi sostituirla. E toccheranno a noi anche gli applausi, e il ringraziamento per avere salvato lo spettacolo.

 

Sabato notte ero, per motivi non eroici ma casuali, l’unica madre in mezzo a un certo numero di padri di cinquenni che scorrazzavano in mutande e chiedevano attenzioni impossibili da ottenere durante Italia-Inghilterra. I padri urlavano, scommettevano, imprecavano, si buttavano per terra, si abbracciavano, piangevano. I bambini avevano sonno, fame, dovevano andare in bagno. Ho proposto di portarli tutti a dormire da me, rinunciando alla partita. Nessuno si è girato a guardarmi, ho sentito solo un “ok, ok”, seguìto da un gesto della mano. Ero di nuovo, per una notte, una madre indispensabile, salvifica, ero la prima ballerina della Scala. (Quest’operazione subdola di riappropriazione, però, non funziona con i figli adolescenti: cementificati sul divano con i padri, hanno il permesso di fumare, bere, dire parolacce e tagliarsi i capelli come Balotelli).

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.