Matteo Darmian in azione contro l'Inghilterra sabato sera a Manaus (foto LaPresse)

Terzino non datur. Come Darmian è diventato il cocco di Prandelli

Piero Vietti

Adesso che lo hanno visto tutti – e si dice che lo vogliono tutti – si parla di “favola” per spiegare una prestazione da campione alla prima partita in un Mondiale, per di più contro l’Inghilterra di Rooney.

Quando sabato sera, nel caldo umido e appiccicoso del campo di Manaus, Matteo Darmian è entrato nell’area avversaria prendendo alle spalle gli inglesi, ha stoppato al volo il lancio di un compagno, accarezzando il pallone con il collo del piede sinistro, si è girato su se stesso e ha tirato a botta sicura, anche i tifosi del Torino hanno avuto un soprassalto. Perché fino a quel momento Matteo Darmian aveva sì stupito tutti – persino José Mourinho, che lo dirà il giorno dopo – ma non quelle migliaia di supporter granata che da tre anni non gli vedono sbagliare una partita. Adesso che lo hanno visto tutti – e si dice che lo vogliono tutti – si parla di “favola” per spiegare una prestazione da campione alla prima partita in un Mondiale, per di più contro l’Inghilterra di Rooney. Si sente dire che nessuno, anche solo un mese fa, avrebbe immaginato che il terzino granata sarebbe stato tra i 23 convocati di Prandelli, e comunque non da titolare. C’è uno che invece lo sapeva già. E’ Giampiero Ventura, il suo allenatore al Torino che lo ha voluto tre anni fa in serie B e che con il suo lavoro costante lo ha fatto diventare il giocatore che tutto il mondo ha visto sabato sera: “Darmian presto farà parlare di sé”, disse a Deejay Football Club più di un anno fa. E ancora, quest’anno, nel periodo in cui tutti parlavano di Cerci e Immobile in azzurro, e si diceva che il prossimo torinista a vestire quella maglia sarebbe stato D’Ambrosio: “Tutti parlano di questi giocatori, ma io vi segnalo che abbiamo un giocatore, Darmian, che avrà sbagliato una partita in due anni”. Era dopo Sassuolo-Torino, e quel giorno in tribuna c’era Cesare Prandelli. Proprio in quei giorni D’Ambrosio era passato all’Inter, convinto che la maglia nerazzurra gli avrebbe garantito palcoscenici più importanti. Sei mesi dopo al Mondiale c’è Darmian, all’epoca in competizione con lui per un posto da titolare, e D’Ambrosio ha archiviato un finale di stagione con molta panchina e poche prestazioni positive. Giampiero Ventura è abituato da anni a lanciare e rilanciare giocatori in cui pochi credono: lo ha fatto con Bonucci e Ranocchia, poi con Cerci, Immobile e appunto Darmian, per citare gli italiani più noti. I tifosi del Torino in questi anni si sono affezionati a questo ragazzo silenzioso, volitivo, onesto e grintoso, che non li ha traditi quasi mai in campo.

 

Adesso che lo hanno visto tutti, si parla della sua faccia pulita, del suo carattere schivo e della sua voglia di lavorare. Quello che molti non sanno, ma che cominciano a intuire, è che una volta conquistato un posto da titolare, difficilmente Matteo se lo fa soffiare. E’ stato così al Milan, prima, e al Torino poi. Al Milan ci è arrivato bambino, scoperto all’oratorio da un osservatore dei rossoneri, come succedeva negli anni Sessanta e Settanta. Sarà che a differenza di tanti suoi coetanei (ha 24 anni) arriva dalla parrocchia e non dalle scuole calcio, sarà che ha alle spalle una famiglia forte che lo ha sempre accompagnato senza dare nell’occhio, sarà che al Milan ha imparato una certa disciplina, fatto sta che oggi Matteo Darmian sembra il prototipo del giocatore ideale per Cesare Prandelli, una sorta di incarnazione del codice etico. Senza finte, però, senza retorica buona solo per i giornali, senza dichiarazioni buoniste per piacere. Semplicemente perché lui è così. “Quando i tifosi mi dicono che sono un bravo ragazzo – ha detto in una recente intervista – mi fanno felice, perché penso anche ai miei genitori e alle difficoltà di crescere un figlio”. Buono, pure troppo. E’ un anti personaggio, dicono: non ha un profilo Twitter, non è su Facebook, ha la stessa ragazza da anni, Francesca, e non si parla mai di lui per quello che fa fuori dal campo. 

 

[**Video_box_2**]A chi gli fa notare che è talmente normale da sembrare noioso risponde a bassa voce che forse prima o poi tornerà di moda essere normali. Timido e intelligente, Darmian ha un talento naturale per la scelta dei tempi giusti, non soltanto in campo: mai una dichiarazione fuori posto, sa tacere quando non è il caso di parlare e dire le giuste banalità per disinnescare i giornalisti in cerca di titoli polemici. Nelle interviste ricorda Dino Zoff: poche pesate parole. Nessuna concessione a chi vorrebbe cose succose da scrivere. Chi lo ha frequentato da vicino in questi anni dice che nell’ultima stagione è maturato non soltanto come calciatore, ma anche nella personalità. Nella Primavera del Milan era il capitano. Poi qualcosa non ha funzionato: poche presenze con i rossoneri, il prestito al Padova, la comproprietà con il Palermo e infine il Toro. Adesso a Milanello si chiedono come sia possibile essersi sbagliati così: hanno ceduto per un milione un giocatore che tre anni dopo ne vale forse quindici volte di più. Il Darmian di allora però non era quello di oggi: in mezzo ci sono anni di lavoro, dedizione e umiltà. Soprattutto, di mezzo c’è Giampiero Ventura. Dopo la vittoria contro l’Inghilterra, e la sua prestazione pazzesca, ha voluto ringraziare il presidente del Torino, Cairo, la società e Ventura per averlo fatto crescere. Da tre giorni i giornali sportivi accostano il suo nome a quello di altre squadre. Che ci sia un certo lavoro sottotraccia da parte dei cosiddetti grandi club lo dimostrano le parole di Chiellini a fine partita: “Non me ne vogliano i tifosi granata, ma gli auguro di andare in una grande, si merita di giocare in Europa”. Una dichiarazione gratuita, che rispondeva a una domanda sulla prestazione in campo di Darmian parlando del suo futuro. Matteo non ha commentato. Sa di essere uno dei preferiti di Cairo, tanto che qualche volta viene preso in giro dai compagni per questo, e a settembre è stato tra i primi a firmare il rinnovo del contratto con i granata, senza tentare giochetti al rialzo o accordi con altri per essere ceduto. Da tifoso rossonero non nasconde il piacere che gli farebbe tornare al Milan prima o poi. Ma adesso non ci pensa, e continua a fare quello che sa fare meglio: allenarsi, migliorarsi, imparare e stare zitto.

 

Raccontano di lui che nello spogliatoio è quello che lancia la battuta, crea la situazione in cui poi i compagni più caciaroni si buttano a scherzare. A quel punto lui si è già sfilato, e guarda i compagni. In fondo è il suo ruolo anche in campo, quello: terzino destro (ma Ventura lo ha saputo far rendere anche da terzino sinistro e difensore centrale), colui che innesca l’azione d’attacco, che passa la palla giusta all’ala (Cerci nel Toro, Candreva in azzurro sabato sera) e poi guarda gli altri fare gol, sapendo che senza quella sua battuta iniziale, adesso i compagni non starebbero esultando.

  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.