That win the best

Banane e cialtroni

Jack O'Malley

Quando nella finale di Champions League giocata a Mosca nel 2008 – pioveva come nemmeno in Inghilterra nei giorni brutti – John Terry si è avvicinato al dischetto del rigore, sapeva che un suo gol avrebbe consegnato al Chelsea la prima Champions League della sua storia. Terry scivolò sull’erba bagnata prima di calciare, e sbagliò il rigore. Il Chelsea perse la coppa, e Terry probabilmente non dormì per molte notti. Il calcio però è il regno delle seconde possibilità, e quattro anni più tardi i Blues avrebbero vinto la Champions League ai rigori contro il Bayern Monaco.John Terry non avrebbe giocato la finale perché squalificato. Domenica a Liverpool Terry non ha giocato – è infortunato – ma nessuno come lui deve avere capito che cosa ha provato Steven Gerrard, quando al 48’ del primo tempo ha cercato a stoppare l’innocuo passaggio orizzontale di un compagno.

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    Luton. Quando nella finale di Champions League giocata a Mosca nel 2008 – pioveva come nemmeno in Inghilterra nei giorni brutti – John Terry si è avvicinato al dischetto del rigore, sapeva che un suo gol avrebbe consegnato al Chelsea la prima Champions League della sua storia. Terry scivolò sull’erba bagnata prima di calciare, e sbagliò il rigore. Il Chelsea perse la coppa, e Terry probabilmente non dormì per molte notti. Il calcio però è il regno delle seconde possibilità, e quattro anni più tardi i Blues avrebbero vinto la Champions League ai rigori contro il Bayern Monaco. John Terry non avrebbe giocato la finale perché squalificato. Domenica a Liverpool Terry non ha giocato – è infortunato – ma nessuno come lui deve avere capito che cosa ha provato Steven Gerrard, quando al 48’ del primo tempo ha cercato a stoppare l’innocuo passaggio orizzontale di un compagno. Forse qualcuno negli spogliatoi gli aveva sostituito le scarpe con un paio di ciabatte, perché Gerrard si è fatto scivolare il pallone sotto la suola, di fatto lanciando l’attaccante del Chelsea, Ba, da solo verso la porta. In realtà avrebbe potuto ancora recuperare il pallone, peccato si sia immediatamente ritrovato addosso l’agilità di un Bonera, e sia scivolato sull’erba. Quando è corso nella propria rete a recuperare il pallone per riportarlo a metà campo, bastava guardarlo in faccia per capire che il Liverpool non avrebbe rimontato, anzi. Il gol di Willian al 93’ è stata la coltellata finale di Mourinho alla Premier League: adesso il Liverpool non è più sicuro di fare suo il campionato. Se anche i Reds vincessero le loro restanti due partite, al Manchester City basterebbe vincere le sue restanti tre per diventare campione. Il fatto è che Gerrard non è un fuoriclasse assoluto. Lo aveva già detto qualche tempo fa – con la sua cattiveria stronza – Sir Alex Ferguson: il capitano del Liverpool è forte, carismatico, generoso, ma non un campione puro. Il liscio contro il Chelsea lo inchioderà ai muri di Anfield fino a che i Reds non riusciranno finalmente a vincere una Premier League. Mourinho, che è fuoriclasse puro, non ha sbagliato nulla, invece. E’ andato a Liverpool con una squadra imbottita di riserve, doveva essere la vittima sacrificale sull’altare della festa del suo allievo Brendan Rodgers, oggi allenatore dei Reds, ha fatto pretattica per mesi dicendo che a lui del campionato non importava niente, e poi è andato a giocare la partita perfetta (pochi giorni dopo il capolavoro catenacciaro di Madrid) solo per il gusto di rompere le palle al Liverpool. Ha innervosito gli avversari, giocando sulla loro tensione a pochi metri da un traguardo storico, e gliel’ha fatta fare sotto. Novanta minuti in difesa con due mazzate nei recuperi dei due tempi. 2-0, tutti a casa, ed esultanza feroce sotto lo spicchio dei londinesi in trasferta, commossi e adoranti. Ma ancora più bella è stata la risposta dei tifosi del Liverpool: mentre ancora rimbombava il “Goal!” dei supporter del Chelsea, un coro enorme e commosso ha sovrastato tutto: “You’ll never walk alone!”, urlavano i tifosi di casa con il cuore e i polmoni, mentre la testa già calcolava che adesso è il City la squadra favorita.

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     This is football. L’altra partita da non perdere nel weekend calcistico inglese era l’esordio in panchina di Ryan Giggs al Manchester United. Una settimana fa il centrocampista gallese correva in campo, questo sabato usciva dal tunnel sotto il West Stand in giacca e cravatta, accolto dal boato di Old Trafford. Giggs ha aspettato qualche istante, non è uscito subito dietro la squadra: quando i suoi ragazzi erano già verso centrocampo è spuntato fuori correndo, per poi rallentare e applaudire il suo pubblico. Il 4-0 al Norwich è un buon modo per cominciare, ma l’affetto dei tifosi non deve inquinare la decisione sul prossimo manager dello United. Puntare su Giggs per tornare subito vincenti in Inghilterra e in Europa rischierebbe di bruciarlo, anche se vederlo imitare i gesti del suo maestro Ferguson a bordo campo (uno su tutti: indicare platealmente il suo orologio al polso per mettere pressione agli avversari) ha illuso molti per un weekend intero.

    This is not football. Pieno della bellezza vista in Premier League, domenica ho fatto il solito errore di guardare la serie A. A parte le scaramucce tra Conte e Garcia, finalmente di buon livello come piace a me, il vuoto ha assediato la mia anima mentre passavo da Sampdoria-Chievo a Livorno-Lazio e via via a tutte le altre. Vedo che anche sulle polemiche giornalistiche non vi siete evoluti: se Balotelli sia o meno un grande campione è un dibattito talmente nuovo che mi è sembrato di ringiovanire di un lustro (qui l’abbiamo risolto in fretta, rispedendo il ragazzo in Italia). Ben più succoso il dibattito se un anziano come Luca Toni debba essere convocato in Nazionale, e se sia giusto togliergli un gol dalla classifica cannonieri solo perché il pallone è finito in porta spinto dal portiere avversario. Per quanto mi riguarda, un attacco Balotelli-Toni sarebbe un sogno, soprattutto per l’esordio al Mondiale contro l’Inghilterra.

    Me gusta la banana. Ma la cosa più stucchevole del weekend, dopo il solito sciopero della sete di Pannella e la solita telefonata di Papa Francesco (per di più aizzato dalla Bonino) è la campagna contro il razzismo a suon di banane e hashtag #SiamoTuttiScimmie. Che il razzismo sia una boiata è talmente scontato che le notizie sui buu allo stadio mi danno la stessa scossa emotiva di un discorso europeista di Van Rompuy. Il gesto di Dani Alves, che si è mangiato una banana lanciatagli dagli spalti da un tifoso cretino durante la partita del Barcellona contro il Villarreal, è stato ironico e intelligente, ma come tutte le buone idee è subito diventato preda del circuito mediatico razzialmente corretto che lo ha trasformato in  – perdonate la parola – “tormentone”: tutti nel mondo si sono sentiti autorizzati a farsi scattare una foto con una banana in mano per dire no al razzismo, con la solita corsa buonista a farsi immortalare subito – “un selfie, il mio regno per un selfie”, implorerebbe oggi Riccardo III  – con in mano il frutto giallo. Capisco che lo abbiano fatto i giocatori di calcio, specialmente i compagni di Dani Alves, ma quando ho visto il Confessore Tecnico della Nazionale italiana farsi fotografare con banana in mano e Matteo Renzi al fianco ho capito che – al solito – era già tutto andato in vacca. Non c’è momento politicamente corretto in cui Prandelli non venga trascinato, meglio se con l’Onnipresente premier. I più furbi di tutti sono stati i brasiliani, che hanno insaccato subito il cross di Dani Alves facendo partire una campagna contro il razzismo per nascondere le loro magagne. Lo slogan, paraculissimo: “L’intolleranza ci danneggia più della corruzione”. Così possono continuare a speculare sui Mondiali ma essere razzialmente corretti. E mentre in Italia passavate il tempo a farvi gli autoscatti per sentirvi giusti, in Spagna avevano già individuato e bandito a vita dagli stadi il tifoso con la banana

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