That win the best

L'esonero di Moyes e l'eutanasia del Manchester United

Jack O'Malley

In questo momento in Inghilterra ci sono due squadre che vivono sentimenti opposti. Eppure basterebbe tornare a dodici mesi fa per ritrovarle su sponde diverse. Liverpool e Manchester United sono faccia e chiappe della nuova Premier League che è semplicemente ruotata su se stessa. Liverpool è anche la città in cui David Moyes ha allenato per undici stagioni l’Everton, la squadra in cui ha esordito e per cui fa il tifo Wayne Rooney. Con i Toffees Moyes non ha vinto niente, ma il placet di Alex Ferguson un anno fa ha avuto la meglio: come allenatore del Manchester, lo spiritato David non è riuscito a lasciare il segno, e questa mattina è stato esonerato.

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    Liverpool. In questo momento in Inghilterra ci sono due squadre che vivono sentimenti opposti. Eppure basterebbe tornare a dodici mesi fa per ritrovarle su sponde diverse. Liverpool e Manchester United sono faccia e chiappe della nuova Premier League che è semplicemente ruotata su se stessa: lo scorso anno i Red Devils festeggiavano il primo posto finale e i Reds restavano incastrati in un inutile settimo posto; quest’anno il Liverpool corre verso la prima vittoria in Premier dopo ventiquattro anni e lo United arranca – settimo – in lotta per un posto nei preliminari di Europa League. La proprietà dei Reds ha deciso di puntare ancora su Brendan Rodgers, il manager che l’anno scorso fallì tutti gli obiettivi e che quest’anno è stato capace di mettere in piedi una squadra unita e potente al punto giusto. Certo, un Suárez così in vena è difficilmente ripetibile, ma per scrivere un pezzo di storia basta un piede caldo per dieci mesi, non di più.  (E basta anche valorizzare uno dei migliori talenti inglesi degli ultimi anni, quel Raheem Sterling che potrebbe regalare gioie persino alla Nazionale inglese guidata da Roy “Pinta” Hodgson). Già, Liverpool. Nella caduta del Manchester United la città del Merseyside torna più e più volte. I Reds, come detto, ne stanno prendendo il posto in classifica, ma soprattutto hanno vinto entrambi gli scontri diretti, umiliando Van Persie e tristi compagni con un 3-0 a Old Trafford. Ma Liverpool è anche la città in cui David Moyes ha allenato per undici stagioni l’Everton, la squadra in cui ha esordito e per cui fa il tifo Wayne Rooney. Con i Toffees Moyes non ha vinto niente, ma il placet di Alex Ferguson un anno fa ha avuto la meglio: come allenatore del Manchester, lo spiritato David non è riuscito a lasciare il segno, e questa mattina è stato esonerato. Il suo posto verrebbe preso dall’eterno Ryan Giggs, in attesa di trovare un allenatore all’altezza. Fatale è stata per Moyes la sconfitta di domenica per 2-0 proprio contro l’Everton. Manco a farlo apposta, Moyes era in bilico e tenuto particolarmente d’occhio dalla proprietà dopo la sconfitta per 3-0 contro il Liverpool. Ora sarebbe facile per me ricordare che 27 anni fa Sir Alex Ferguson non vinse nulla per qualche anno dopo il suo arrivo a Manchester, che però non fu cacciato e anzi gli venne permesso di forgiare il gruppo che avrebbe stupito il mondo per due decenni. Non lo farò: non sono né sentimentale né così stupido da non essermi reso conto che il calcio è cambiato, e nel calcio molte verità sono più relative di un pronostico di Gianluca Vialli. Anche se vedere che cosa ha combinato Rodgers a Liverpool al secondo anno fa venire qualche dubbio. Il metodo Cellino non sempre porta frutti.

    Due Bale così. Nella penuria di notizie calcisticamente rilevanti, sono dieci giorni che assistiamo allo stucchevole dibattito attorno a Gareth Bale: è calcio o atletica? Vale i 100 milioni spesi dal Real la scorsa estate? Se non avesse quelle orecchie sarebbe più veloce di Bolt? Non lo so e non me ne frega niente. So solo che la sua rete in finale della coppa del circo spagnolo è la nemesi perfetta del Barcellona: i blaugrana per anni hanno segnato gol arrivando in porta con 180 passaggi snervanti e pallosi. Oggi vengono affondati da un giocatore che da solo gliela ficca in quel posto toccando il pallone sì e no 3-4 volte in 70 metri di campo. Roba da stappare brandy per due giorni.

    Allegri bolliti. A quanto pare a Londra, sponda Tottenham, vogliono continuare a far girare il carrello dei bolliti: non contenti del flop di André Villas-Boas, andato a fare l’allenatore sdraiato a San Pietroburgo, pare che gli Spurs si affideranno a Massimiliano Allegri, altro mister sopravvalutato e capace di vincere in Italia uno scudetto in tre anni avendo in squadra Ibrahimovic e come avversari compagini da torneo amatoriale alla sagra della birra. Poi gli Spurs hanno anche il coraggio di chiedersi perché in ventitré anni hanno collezionato appena due Football League Cup.

     

    Malago di calcio. Torna il Premio That win the best, e questa settimana va al presidente del Coni, Giovanni Malagò, per avere detto la verità che qui si va ripetendo da anni: “La serie A è stato un campionato livellato verso il basso, e lo dimostra anche il cammino delle italiane nelle coppe europee, a parte il grande percorso di Juventus e Roma. I bianconeri sono stati mostruosi, e i giallorossi fantastici. Però da troppi mesi tutto è bloccato su queste posizioni. La lotta salvezza, poi, non si baserà sulla quota dei 40 punti, ma ne basteranno anche molti di meno. Anni fa, quando il nostro calcio era al top, invece di sperperare in ingaggi scellerati i presidenti avrebbero potuto investire negli stadi”. Già, peccato che Malagò dimentichi che grazie alle leggi italiane sia praticamente impossibile costruire stadi nuovi senza ricevere almeno un avviso di garanzia.

    Livaja via. Anche nei casi di razzismo calcistico in Italia si tocca la farsa, non riuscendo a sfiorare le vette che in Premier League si toccano volentieri. La vicenda di Livaja è istruttiva: se ho afferrato bene l’episodio (scusate le imprecisioni, qui a Londra giungono flebili eco dai confini dell’impero) il giocatore – definito “testa calda” in modo originale dai media – rientra in campo dopo che per qualche settimana l’allenatore dell’Atalanta lo ha tenuto fuori squadra. Non gioca la partita più bella della sua carriera e viene sostituito. A quel punto dalla tribuna vola qualche insulto e lui reagisce pacatamente tirando manate al vetro che separa spalti e panchina. Poi il tutto si trasferisce su Facebook, là dove qualunque cazzone anonimo può scrivere “croato di merda” e ottenere per questo la prima pagina dei giornali sportivi in quanto rappresentante del popolo del web. Livaja però ha più tatuaggi che anni di vita,  ci casca e risponde con un invito con finalità apparentemente turistiche – “Venite in Croazia con me” – seguito da simpatici campanilismi – “italiani bastardi” (dimenticando l’intramontabile “contadino bergamasco zappa la terra”). Alè. I giornalisti si sono buttati sulla storia come neppure Neymar in area quando sente il respiro di un difensore. Livaja ha chiesto scusa, ma a quel punto il popolo del web non lo ha più perdonato, come direbbe il Corriere.it. E’ chiaro che Livaja verrà venduto a fine stagione. E che l’anno prossimo segnerà una doppietta all’Atalanta.

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