
That win the best
Chissenefrega delle corna
Miracoli a parte, genere soprannaturale che il terragno David Moyes non frequenta, il turno di Champions League è stato di quelli che mettono a durissima prova le riserve di brandy di noi vecchi sentimentali del calcio. Settimana santa per Mourinho, che nel soprannaturale ci sguazza, con lezione di carattere e cuore, cioè di calcio, ai manieristi con la erre moscia, troppo svagati e compiaciuti per stritolare la preda quando è ora. Dominare le partite o fare tanti passaggi utili non è mai il punto in questi casi, il punto è scaraventarla fra i tre legni con tutti i mezzi possibili, anche se il tuo eroe di giornata (e non solo) non si chiama Fernando Torres o Samuel Eto’o – il quale dopo aver tirato avanti la gag sulla presunta vecchiaia è tornato a ritmi di gioco da reparto di geriatria, appunto – ma Demba Ba, attaccante che fenomeno non è ma sa fare il suo quando serve.
Leggi anche Bonan Dell'Utri libero - Crippa Un pistola di nome Wanda - Giuli Ancona, “Riecco C” - Pace No Europe, please - Quarantino Fox Valeri, bravo come pochi ma Braschi non se n'è accorto
Londra. Miracoli a parte, genere soprannaturale che il terragno David Moyes non frequenta, il turno di Champions League è stato di quelli che mettono a durissima prova le riserve di brandy di noi vecchi sentimentali del calcio. Settimana santa per Mourinho, che nel soprannaturale ci sguazza, con lezione di carattere e cuore, cioè di calcio, ai manieristi con la erre moscia, troppo svagati e compiaciuti per stritolare la preda quando è ora. Dominare le partite o fare tanti passaggi utili non è mai il punto in questi casi, il punto è scaraventarla fra i tre legni con tutti i mezzi possibili, anche se il tuo eroe di giornata (e non solo) non si chiama Fernando Torres o Samuel Eto’o – il quale dopo aver tirato avanti la gag sulla presunta vecchiaia è tornato a ritmi di gioco da reparto di geriatria, appunto – ma Demba Ba, attaccante che fenomeno non è ma sa fare il suo quando serve. Il contorno perfetto alla mourinheide lo fornisce l’eliminazione di un Barcellona che si è piegato di fronte alla concezione euclidea del calcio dell’Atletico Madrid, epopea sportivamente avvicente che si trascina giusto un paio di effetti collaterali, tipo le conversazione giornalistiche di epica banalità sulla fine del ciclo del “mès que un club” o la più insidiosa e scialba elezione di Simeone a improbabile nemesi di Mourinho. Non si sentiva la mancanza di calembour del tipo SimeOne né di paragoni impropri, anche se è vero che Mou e il Cholo saranno lì a darsele come fabbri in una semifinale che promette di dare la botta finale alla cantina. Simeone usa troppo gel, batte troppo le mani, si lascia troppo andare, è troppo tarantolato ed entusiasta per essere un doppelgänger credibile. Al massimo può essere la versione goodfellas di Conte.
Gabriella Lenzi in costume da bagno. Anche lei ama tuffarsi come il fidanzato Neymar
Superiorità calcistico-antropologica. L’Italia è divisa da una soap opera sudamericana con incommentabile livetweeting di corna e figli usati come ipotenuse di triangoli amorosi. Roba che “un posto al sole” sembra una cosa seria. La Spagna compatisce un ciondolante Messi e prega perché si spezzi il mortale duopolio Barça-Real. Poi uno si domanda perché i fan della Premier coltivano un particolare senso di superiorità calcistico-antropologica. Ammetto che il fatto che la superpartita fra Liverpool e Manchester City sia stata risolta da Coutinho (Coutinho!) su una svirogalata di Kompany (Kompany!) che non si vedeva dai tempi del calcio sul telo saponato all’oratorio non fa onore al torneo. Ma intanto sono tutte lì, a lottare nel fango senza risparmiarsi nulla, con lo Special One sulla scia come un velocista in volata, e ci aspettano settimane di ineffabile godimento, che potrebbero essere parzialmente rovinate dalle notizie non troppo confortanti che arrivano dall’infermeria del Liverpool a proposito di Sturridge. Quello che insieme a Suárez ha segnato 49 gol in Premier. Voi divertitevi pure con Cerci e Immobile.
Penitenze minuto per minuto. Nella mia quaresimale ricerca di penitenze per purificarmi dalle scorie del brutto calcio ho seguito nuovamente “Tutto il calcio minuto per minuto”, che non è un programma di aggiornamento calcistico in tempo reale ma una finestra su un passato che non c’è più. Un telecronista nostalgico della storia dei fratelli del mondo si ostina a chiamarla Internazionale, altri parlano di “ingresso dei sanitari in campo per effettuare le spugnature al giocatore infortunato”. Le spugnature, capite? L’azione “tambureggiante” è un capolavoro anni Settanta, la parata che “nega la gioia del gol” ci manda avanti di qualche anno, mentre l’idea che Icardi imbuchi il pallone “come una busta nella buca delle lettere” è una preziosa testimonianza dall’ultimo luogo al mondo in cui le comunicazioni avvengono principalmente via lettera: la Rai.
L'allenatore Quique Sánchez Flores ha trasmesso alla moglie Orsi Feher la passione per il calcio. In particolare per gli inserimenti da dietro
[**Video_box_2**]Coppe che contano. Odio la retorica sulla “favola della FA Cup”, che tende paradossalmente a normalizzare ciò che per sua natura dovrebbe essere, ed è, eccezionale. Non posso però non inchinarmi alla realtà di quanto visto nella seconda semifinale di Coppa, giocata domenica pomeriggio a Wembley. In campo l’Hull City, Premier League, contro lo Sheffield United, terza divisione del campionato inglese. Una sfida che definire improbabile a inizio stagione sarebbe stato ottimista. Hull City favorito, anche se la storia pesa più dalle parti di Sheffield: i Blades vantano un campionato vinto quando Scalfari ancora non era nato e quattro coppe d’Inghilterra, l’ultima delle quali coetanea del Fondatore. L’Hull City non ha mai vinto niente nella sua storia, è in Premier League da pochi anni e gli archivi ci consegnano il nome dei Tigers associati a una semifinale di Coppa d’Inghilterra del 1930: sconfitta contro l’Arsenal. Poi più niente. Ora l’Arsenal è già in finale (vittoria ai rigori contro il Wigan sabato), mentre Sheffield e Hull domenica pomeriggio avevano tra le mani la tastiera per riscrivere la propria storia. Quanto è successo in campo non se lo sarebbe potuto inventare nemmeno Osvaldo Soriano. Andiamo con ordine. Oggi, 15 aprile, è il venticinquesimo anniversario della tragedia di Hillsborough, quando 96 tifosi del Liverpool morirono schiacciati dalla folla e dall’ignoranza delle forze di polizia nello stadio di Sheffield prima di una partita tra Reds e Nottingham Forest. Come in tutta la Nazione, anche prima della semifinale di domenica si sono ricordati i caduti di Liverpool. E poiché questa partita dovrà essere ricordata a lungo, nulla di quanto successo è successo per caso: prima va in vantaggio lo Sheffield United, con un gol di Baxter, che subito rifiuta l’abbraccio dei compagni. Ma come: sei a Wembley, in semifinale, fai gol e non abbracci gli altri? Baxter è di Liverpool, e appena vede la rete gonfiarsi si sfila la fascia del lutto dal braccio, la bacia e la alza al cielo, gli occhi lucidi. Il pareggio dei Tigers lo sigla Sagbo, attaccante di riserva e considerato l’anello debole della squadra allenata dal panciuto Steve Bruce. Passa un minuto e lo Sheffield torna in vantaggio: segna Scougall, ragazzo scozzese che giocava nella squadra della sua città, l’Hibernian di Edimburgo, quando venne scartato perché troppo mingherlino. Dopo anni di calcio part-time – Scougall lavorava con suo padre nella costruzione delle strade della città – ecco lo Sheffield che lo rilancia: Wembley, la semifinale e il gol dedicato al fratello morto in un incidente sette anni fa. L’Hull City pareggia con il neo entrato Fryatt e poi va sul 3-2 grazie ad Huddlestone. Sheffield frastornato, fino a quando Quinn non la chiude – apparentemente – con il colpo di testa del 4-2. Tra le urla dei tifosi Quinn si rialza, esulta e poi si copre gli occhi con le mani. Quando le riabbassa è commosso, quasi triste: sei anni a Sheffield e 200 presenze con la maglia dei Blades non potevano lasciarlo insensibile. Il 3-4 dello United dura il tempo di un’illusione, l’Hull City fa il quinto all’ultimo minuto di recupero. Blades salutati come trionfatori dai tifosi sugli spalti di Wembley, e Tigers increduli: ora potranno vendicare in finale quella sconfitta del 1930.
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Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
