
Ruffiani e topi sguscianti nell'Italia eternamente badogliana
E’ il momento supremamente badogliano che tutti gli italiani cultori di storia e di memoria conoscono, e anche i non cultori s’accorgono che il topo sguscia via dalla nave che affonda. Non c’è da scandalizzarsi che nel seno del berlusconismo siano state allevate tante mezze tacche, tanti ruffiani, è sempre così, forse anche tra i compagni di Alessandro Magno, quando l’amicizia era la religione superiore dell’amore, anzi, senza forse. Che vogliamo farci? Che importa? Nulla.
E’ il momento supremamente badogliano che tutti gli italiani cultori di storia e di memoria conoscono, e anche i non cultori s’accorgono che il topo sguscia via dalla nave che affonda. Non c’è da scandalizzarsi che nel seno del berlusconismo siano state allevate tante mezze tacche, tanti ruffiani, è sempre così, forse anche tra i compagni di Alessandro Magno, quando l’amicizia era la religione superiore dell’amore, anzi, senza forse. Che vogliamo farci? Che importa? Nulla.
Con qualche ritardo (la mia vecchia legge dei vent’anni necessari alla sinistra per capire i propri errori), d’Alema s’accorge che Berlusconi era meglio emularlo in serrata competizione affettuosa e imparando da lui, come fa Matteo Renzi, piuttosto che sfidarlo di malagrazia, diffamarlo, accerchiarlo, criminalizzarlo con ogni strumento possibile e colpi bassi in quantità (complotti di procura, origliamenti illegali, guardonismo ideologico, pedinamenti di ragazze, accuse iperboliche, false e bugiarde). Meglio lanciare la lotta violenta contro la burocrazia al Salone del mobile di Milano, e abbassare le tasse per tutti, piuttosto che augurargli, come fecero i capataz della sinistra più sciocca del mondo a partire dal fatale 1994, di finire in un angolo a chiedere l’elemosina, per non dire della galera.
Ora Berlusconi è incredibilmente sotto scopa da parte dei magistrati, che comunicano a lui e a un paese insensibile da sempre alla giustizia la verità del ricatto giudiziario e politico: se parla e dice quel che pensa lo sbattono in galera, gli revocano la libertà personale limitata ma non impedita dall’affidamento ai servizi sociali. E tocca a lui districarsi, ne ha i mezzi umani, nel buco nero dove lo hanno piazzato, per trasformare in ironia, in attivismo lucido, in sapiente mescolanza di parola e di azione, la sua immobilità politica forzata alla vigilia di nuove inutili elezioni europee (quelle utili, le politiche, Berlusconi, già allora dato per spacciato per l’ennesima volta, le perse un anno e qualche mese fa per centomila voti). I suoi storici nemici hanno perso con il giusto anticipo su di lui: sono stati rottamati da uno che è poco più di un ragazzo e, da buon fiorentino, ha giudicato risibili i loro mezzi di combattimento, reinventandosi leader di una sinistra delle libertà e delle riforme che non c’era mai stata e che parla al paese tutto di cose che contano e incuriosiscono, se non addirittura eccitano la capacità di sognare. Ma attenzione, c’è un dettaglio in cui si annida l’ala turbinosa e intelligente del divino, della verità.
I suoi potenziali carcerieri ideologici Renzi li ha imprigionati nella disdetta e nell’irrilevanza mostrandone a schiaffoni la nuda e secca e allampanata gigionaggine di leader bacucchi. Invece su Berlusconi, il Maestro del ragazzo che piace anche all’elettorato di centrodestra, è calata non già la sconfitta politica bensì la mannaia giudiziaria. Il paradossale miracolo del partito delle procure è stato di prendere il maggiore contribuente italiano e condannarlo per frode fiscale. E da lì, dalla percezione pavida di un pericolo drammatico per il loro capo, parte la timida rivolta dei ruffiani, dei ministeriali, dei buonaiuti. Nella storia dell’Italia berlusconiana, lunga storia che batte ogni record, il 25 luglio e l’8 settembre sono una sola data: 1 agosto del 2013. E il teatro degli eventi non è il campo di battaglia, se volete dell’onore e del disonore, della tragedia nazionale, né il corridoio della monarchia traditrice: è un’aula afosa, ventilatore e carabiniere sonnecchiante compresi, della austera Corte di cassazione. Il nostro Badoglio si chiama dottore Esposito. Di lì comincia la strada in salita che la gogna impone a Berlusconi. Percorribile, ma decisamente ripida.
E’ una differenza di qualità che consentirà agli storici onesti, speriamo in un lasso di tempo inferiore ai vent’anni, di scrivere secondo ragionevolezza e senso comune, ma anche secondo i documenti e i fatti da interpretare, la storia della crisi della Repubblica dei partiti, dell’irruzione dell’anomalo e dell’outsider nella politica e nella mentalità italiane, e del gigantesco cambiamento, Renzi compreso, rottamazione compresa, che la sua opera personale, privata e politica, ha reso possibile in questo paese immobile che indossa la parrucca.


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