
Senza un vero conflitto, e doloroso, non c'è Renzi che tenga
Il momento sta arrivando. Renzi è una replica, giovane e di sinistra, con i suoi tratti, i suoi difetti e le sue virtù, di Craxi, di Berlusconi e del primissimo Monti, cioè di quelli che in un modo o nell’altro hanno provato a dare una spallata. Le questioni sono le stesse: ridurre la spesa pubblica, intaccare vecchi e rendite sociali incrostate, modificare il modello di sviluppo fondato sul consociativismo concertativo e sul compromesso del debito pubblico sposato al capitale privato improduttivo e pigro. I modi sono gli stessi: il consenso popolare a una leadership personale (per Monti l’investitura era dall’alto), un linguaggio di rottura, la delineazione di un orizzonte possibile in un quadro di libertà psicologica, di audacia politica, con parole e atti nuovi di zecca.
Il momento sta arrivando. Renzi è una replica, giovane e di sinistra, con i suoi tratti, i suoi difetti e le sue virtù, di Craxi, di Berlusconi e del primissimo Monti, cioè di quelli che in un modo o nell’altro hanno provato a dare una spallata. Le questioni sono le stesse: ridurre la spesa pubblica, intaccare vecchi e rendite sociali incrostate, modificare il modello di sviluppo fondato sul consociativismo concertativo e sul compromesso del debito pubblico sposato al capitale privato improduttivo e pigro. I modi sono gli stessi: il consenso popolare a una leadership personale (per Monti l’investitura era dall’alto), un linguaggio di rottura, la delineazione di un orizzonte possibile in un quadro di libertà psicologica, di audacia politica, con parole e atti nuovi di zecca. I nemici sono gli stessi, quelli che vogliono tardare, minimizzare o enfatizzare il pericolo della “svolta autoritaria” e invocano ogni giorno la solita supplenza della magistratura per colpire definitivamente, naturalmente in nome della legalità, ogni barlume di autonomia della politica e della classe dirigente democratica.
Craxi era alleato e avversario dei vecchi partiti in un paese totalmente diverso da questo che abbiamo sotto gli occhi, ed era portatore di un’eresia, l’autonomismo anticomunista e la competitività con il potere democristiano. Berlusconi era in larga parte un uomo del vecchio sistema, ma fu outsider perché imprenditore, perché imprenditore estraneo all’establishment, perché aveva nella pancia il fuoco egocentrico e pazzo dell’avventura politica e di una furibonda carica innovativa. Craxi fu fregato dal non aver capito la caduta del muro di Berlino, dai meccanismi diabolici del vecchio potere, nel suo rapporto con le alleanze internazionali e con i soldi, ma sopra tutto dal non aver tirato le conseguenze di sé stesso. Così Berlusconi: ha fatto non molto, moltissimo, ha cambiato i connotati alla Repubblica, alla politica, alla società, ma è restato impaludato nel non-decisionismo, nel coalizionismo, nel politicantismo che alla fine, complice l’aggressione giudiziaria, lo ha prostrato. Renzi, erede naturale di queste storie, deve scrivere la sua, di storia. E deve essere una storia di riforme e di cambiamenti sempre nello stesso segno dei predecessori. Da uomo di sinistra (Craxi) contro la vecchia sinistra conservatrice e atrofizzata nella sociologia delle classi d’antan. Da figlio della comunicazione televisiva (Berlusconi) e nel salto di generazione, da outsider che si fa da sé (sempre Berlusconi), deve realizzare (to deliver, altro che yes we can) o perire.
Realizzare è la premessa per il braccio di ferro in Europa, per le alleanze internazionali sviluppiste, favorevoli a scelte di crescita e di riequilibrio nei rapporti con la Germania, per giocare la leadership su un piano millennial, che non è più di destra né di sinistra, che è calcolo e passione intorno ai temi del lavoro, del profilo sociale del paese, della libertà di movimento e di aspirazioni di grandi masse umane. Al di là delle politiche di mercato del lavoro, al di là delle correzioni della spesa, al di là dei singoli atti o della manutenzione dell’edilizia scolastica, al di là delle riforme istituzionali, il problema di Renzi è uno solo: rompere le logiche conservatrici dovunque facciano barriera contro il suo progetto riformista, riuscire a rompere in modo convincente, sollecitando movimento e adesione vera nel paese. Non bastano i voti della direzione del Pd, non basta coltivare una relazione utile e di nuovo conio con l’opposizione berlusconiana, non bastano gli indici di popolarità personale, le photo-op in giro per il mondo, tutto serve, ovvio, ma quel che decide è la decisione.
La tentazione ovvia, comprensibile, è quella della prudenza: in fondo il Pd è un partito tradizionale, la burocrazia non si smantella in un mese né in un anno, le insidie e i trabocchetti sono dappertutto, sindacati e confindustria sono largamente immaturi rispetto a un disegno riformatore, vogliono guarentigie e basta, le agende Giavazzi o Zingales sono minoritarie nell’orientamento profondo del paese, regioni ed enti locali sono megafoni del già visto, nel mondo bancario e finanziario c’è poca trippa per logiche di cambiamento, forse un Marchionne potrebbe aiutare ma ha i problemi suoi e lavora a cavallo tra due sistemi così diversi, e dunque tiriamo a campare, cerchiamo di domare i media ruffiani e maligni facendo un po’ di agitazione ideologica, ottenendo risultati parziali e aspettando che il ciclo della recessione e dei suoi postumi faccia largo a un innesco di crescita, a una ventata di blando ottimismo, poi si vedrà, forse verranno le elezioni, forse Renzi le potrà vincere, forse con una nuova legittimazione, se nel frattempo non si sarà consumato, potrà mostrare il miracolo che ha promesso.
Secondo me, sebbene sia comprensibile, è un modo di ragionare pericoloso, vuol dire rallentare la corsa contro il tempo, che è sempre il migliore alleato dello status quo, che lavora per la dispersione di un’idea, che entra come un veleno nelle fibre di qualsiasi ambizione politica vera e la disfa. Il momento è arrivato o sta per arrivare con un’urgenza da cogliere: non si può fare tutto con il sorriso sulle labbra, senza il senso drammatico del momento, moltiplicando annunci e periodi ipotetici a scapito della nuda capacità di incidere sul reale. Di Renzi si vedrà la pasta quando saprà provare dolore e farlo provare alla parte del paese che recalcitra, non vuole e non capisce. Portare il conflitto riformatore nel luogo giusto e nell’istante giusto, questo è il problema del premier e dei suoi.


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