L'obbedienza è ancora una virtù

Giuliano Ferrara

L’obbedienza è una virtù. Don Milani, icona di un mondo che non mi piace, pensava l’opposto. Pensava non fosse più una virtù. Predicava la disobbedienza. E la chiesa di oggi è certo più quella di don Milani che l’istituzione delle mie fantasie di laico integrale, ma devoto. Io penso infatti, sboccato come sono per vecchia abitudine e qualche volta anche bestemmiatore ahimè, che la devozione è una virtù. Che dottrina è una bella sacrosanta parola. Che tradizione vuol dire memoria, e se si voglia aggiungere il banale, “condivisa”. Che il metodo storico-critico di lettura dei testi sacri va applicato dentro la continuità apostolica, non per sfizio o, come si dice, libero esame.

    L’obbedienza è una virtù. Don Milani, icona di un mondo che non mi piace, pensava l’opposto. Pensava non fosse più una virtù. Predicava la disobbedienza. E la chiesa di oggi è certo più quella di don Milani che l’istituzione delle mie fantasie di laico integrale, ma devoto. Io penso infatti, sboccato come sono per vecchia abitudine e qualche volta anche bestemmiatore ahimè, che la devozione è una virtù. Che dottrina è una bella sacrosanta parola. Che tradizione vuol dire memoria, e se si voglia aggiungere il banale, “condivisa”. Che il metodo storico-critico di lettura dei testi sacri va applicato dentro la continuità apostolica, non per sfizio o, come si dice, libero esame. Peraltro “coscienza” la trovo parola dubbia, retorica, e come direbbe don Benedetto, termine di cui non abusare. Libertà di coscienza, poi, è un delirio, la penso come Gregorio XVI, nonostante il tentativo di riscatto del cardinale Newman. Il mondo va educato, come un figlio e a volte come una cagnolina, e non ho mai capito, dico spesso celiando, perché la gente talvolta pensi cose diverse da quelle che penso io e faccia cose diverse da quelle che suggerisco. Mah. Freud mi sembra una trappola del postmoderno originario, ma subconscio o inconscio mi suona comunque meglio di coscienza.


    Alla chiesa di oggi non fa specie, salvo le decisioni dei tribunali vaticani, e i relativi arcaici perdoni, la perdonanza, la disobbedienza curiale e infracuriale sulle cose che non contano (quattrini, patte dei clergyman aperte quando non devono eccetera). I giornali vivono dei leak vaticani, si rivoltano nel truogolo delle rivelazioni sullo Ior, fanno pensosi pettegolezzi a noi da sempre estranei, talvolta rimproverano Francesco perché non accorda spazio abbastanza alle vittime adolescenti dei suoi lupi, e pazienza, padre Lombardi, una delle facce più simpatiche di Roma insieme a quella furba di Bergoglio, è sempre pronto a ridimensionare, minimizzare. Si capisce: il secolo ha le sue esigenze, ci si deve adattare. Ma la disobbedienza teologica, in particolare se venga da chi ha in uggia il secolo anticristiano e anticattolico, è considerata con odio teologico. Kasper ci querela in effigie alla Radio Vaticana per aver pubblicato il suo rapporto, molto bello e inconclusivo a nostro giudizio, sulla condizione umana nell’epoca delle famiglie patchwork, del sesso indifferenziato nella teoria del gender (sei uomo o donna o altro a seconda delle scelte culturali e ambientali che fai). Dice che abbiamo violato la legge e che vogliamo sabotare il Papa. Sabotare il Papa, come se fosse possibile una tale sconveniente missione. Che vogliamo chiudere la discussione, dice, noi che abbiamo inferto ai nostri lettori il piacere di una discussione selvaggia e pluralista, con i kasperiani sempre in maggioranza attiva sulle nostre pagine, sulle idee di Francesco e del suo teologo preferito. Ottenendo alla fine che anche gli altri se ne occupino, gli domandino cose non banali, illustrino il problema dei divorziati risposati che ora avranno diritto all’ostia consacrata, e molto altro. Vabbè, subiamo la censura ecclesiastica. Ma non senza tornare a riflettere sulla disobbedienza e sopra tutto sulla nostra amata “obbedienza”.


    Obbedire non significa  conformarsi. Conformarsi è la premessa della rinuncia a pensare e praticare l’obbedienza. E’ un assestarsi nel noto, un rendersi comoda la vita. Obbedienza è invece un atto di umiltà nella forma superba della ricerca senza limiti. Obbedisco perché sono disposto a tutto, perinde ac cadaver, tranne che a conformarmi. E’ un voto, come sanno bene i gesuiti. E si esprime circa missiones, dipende da un’autorità in quanto essa è riconosciuta, razionalmente preposta a governare l’obbedienza libera. Obbedisco con le mie forze, per la mia anima, a volerla dir tutta, per i miei scopi subordinati all’orizzonte comune, e piego le ginocchia perché conosco le altre posizioni possibili, in specie quella retta o eretta. Non mi sono sentito personalmente mai così obbediente e libero come quando in televisione ho coronato un commentino con la formula popolaresca, romana, di “viva il Papa”. 


    Nel nostro mondo l’obbedienza è l’inaudito. Disertori e ribelli sono gli eroi della nostra fantasia delirante. Ci pensiamo tutti come Don Giovanni, crediamo che il rigetto del pentimento, dell’espiazione obbediente dei peccati, sia un gesto di religioso attaccamento alla libertà personale. Invece è conformismo, è riparo dalle traversie della cattiva coscienza, questa sì regina della realtà. Se attacchi la chiesa perché la vuoi democratica, perché la vuoi sposata e divorziata, perché la vuoi spiritualmente pura e monda, anche nelle sue incarnazioni clericali, allora sei un disobbediente à la page, il tuo talento va con il tempo, stai dentro l’annuncio new age, ti sei fatto il tuo Dio personale che puoi scambiare con quello degli altri, come le figurine. Se invece incalzi la chiesa perché sia sé stessa, chiesa di Cristo, tribù itinerante di un maestro di giustizia che tornerà a giudicare i vivi e i morti, ché quella e solo quella è la misericordia, se vuoi che i cardinali effondano qualcosa che non è loro né del loro tempo, che il Papa insegni il dolore e la padronanza umile del dolore invece di mettersi in ascolto della sofferenza sentimentale e apprendere come si fa a consacrare il dissacrato con una semplice ostia priva di contenuto cristico, allora sei un disobbediente pertinace, ossessivo, un indemoniato e un figlio di satana.


    Sofri ha ragione. Esiste anche una casistica della discrezione, figlia della liberalità del pensiero e della prassi. Tu puoi distinguere, discernere, stabilire legami impensabili alla luce della grazia che autorizza in modo efficiente e riconsegna alla pace i cuori infranti. Ma è la casistica della morale laica, nasce dalla resezione del legame con il dettato trascendente che alita sulla vita, funziona perché l’uomo ne è signore con le sue pulsioni terragne, con la sua crudele bontà, con la sua naturalezza. Ti assolvo perché sono impastato di buoni sentimenti, perché non potrei fare altrimenti nella mia datità umana. Perché non sono Dio e non parlo a nome di Dio. E’ la casistica di Voltaire, è il metodo dei lumi. Il soprannaturale esclude quella casistica ipocrita e dolce, ne vuole una legata alla legge, allo spirito della legge.


    Il vangelo è un libro selvaggio, iracondo e mai palloccoloso, ambiguo, pieno di segni da decifrare. Non è un manuale del perdono umano. E’ qualcosa di più o di diverso, la Bibbia è il tramestio della colpa originaria, il rumore di fondo della vita coatta, impregnata di peccato. Il vangelo che ti aiuta come un manuale di self help è un libro finto. Non è decente ubbidire a un vangelo di osservanze possibili, conformarsi a un’idea tristemente senza contraddizione della religione come interiorità senza conseguenze. Siate obbedienti perché disobbedienti. Anche al cardinale Kasper e al Papa, se necessario.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.