
Voglio alzare le mani davanti alla bravura dei giovani talenti
Da ragazzo disdegnavo i giovani, e forse li detestavo. Mi piaceva passare le serate a casa con gli amici grandi dei miei, mi piaceva sentirli parlare, litigare, discutere, mi piacevano i loro modi di fare, i segreti del loro teatro, dei corteggiamenti, delle ironie, delle solidarietà, delle ipocrisie, e poi erano qualche volta figure possenti, circondate da onorevole timore e da rispetto. I coetanei mi sembravano insulsi. Non avevano alcunché da dirsi e da dirmi. Erano carne della mia carne, certo, erano come me, ma per questo stavano un gradino al di sotto del rango dei grandi. Che noia il loro girotondo, che spasso e quale edificazione il minuetto degli amici di papà e mamma. Poi, negli anni, ho perfezionato con l’aiuto cinico di Benedetto Croce questo atteggiamento.
Da ragazzo disdegnavo i giovani, e forse li detestavo. Mi piaceva passare le serate a casa con gli amici grandi dei miei, mi piaceva sentirli parlare, litigare, discutere, mi piacevano i loro modi di fare, i segreti del loro teatro, dei corteggiamenti, delle ironie, delle solidarietà, delle ipocrisie, e poi erano qualche volta figure possenti, circondate da onorevole timore e da rispetto. I coetanei mi sembravano insulsi. Non avevano alcunché da dirsi e da dirmi. Erano carne della mia carne, certo, erano come me, ma per questo stavano un gradino al di sotto del rango dei grandi. Che noia il loro girotondo, che spasso e quale edificazione il minuetto degli amici di papà e mamma.
Poi, negli anni, ho perfezionato con l’aiuto cinico di Benedetto Croce questo atteggiamento. Ero ormai giovane uomo, rispettato e blandito come fiore della politica rivoluzionaria di fine Novecento, e affettavo sussiego verso i giovani, sempre per compiacere i vecchi, i vecchi del partito, quelli con la memoria, lunga, la mia passione politica incarnata. Così ripetevo, con don Benedetto, che l’unico compito dei giovani è invecchiare, non amavo la federazione giovanile, l’attivismo di serie b, per non dire di estremisti e gruppettari, entrai direttamente nel partito, nella tessera c’era l’immagine di Lenin, bisognava difenderlo, il partito, da ogni attacco, articolo 10, articolo statutario militare, che emozione, stupida e anche un po’ criminale ma emozione. Invece gli inni e i trastulli dei comunisti ragazzini, e le feste della gioventù in giro per l’Europa, e la retorica dei biliardini, dei pionieri, e “perché i giovani sappiano” e altri pedagogismi, mamma mia, tutto il tricche e ballacche delle giovani generazioni mi sembrava privo di significati importanti, sciapo. Continuavo a mio modo, da giovane, a essere avversario di ogni tipo di giovanilismo, e compiacevo gli anziani della tribù con questo atteggiamento spregiudicato e, a ricordarlo oggi, da bullo, irritante.
Renzi e le ragazze ministro, tutta questa banda superenergetica che non sa l’indirizzo dei ministeri, che non ottiene l’abilitazione a insegnare, che è tacciata spesso non a torto di non sapere, di ignorare, di non avere il quid della memoria civile e politica, ma che ha fatto fuori la vecchia generazione politica della sinistra, ecco, questa è la nemesi dei miei peccati di ragazzo e di attor giovane. Ora che sono vecchio, sarà senilità, sarà saggezza, mi sembra indispensabile la loro strafottenza, il cazzeggio tecnologico, i tweet, gli orari sballati, l’amore narciso per l’immagine selfie, il senso di gruppo così spiccato e gregario, la disciplina senza sopracciò, la determinazione, anche, a fare in fretta, a fare tutto, a fare più di chiunque altro nella competizione, nella concorrenza, ma sulla scia dei piccoli leader che crescono come le piccole donne.
Anche nel giornalismo viene l’ora. Odiavo i ruffiani verso i giovani. Bocca, che mi sembrava decisamente un avversario ideologico ma il migliore in campo, stava sulla scia dei ragazzi, e sempre ho misurato la stupidità di certe cose di lui e di altri che leggevo dalla volontà e voluttà indecente di compiacere i ragazzi, di non perdere il contatto con loro. Che banalità, pensavo. Quando il Foglio è cominciato ero come tra coetanei. L’età contava poco, eravamo tutti piccoli e senza troppa importanza, sopra tutto non ce la davamo. Oggi dopo quasi vent’anni, con il rinnovamento professionale, umano e anagrafico della redazione, io e qualche altro del gruppo originario ci sentiamo vecchiotti, è tutto cambiato, e osserviamo come fanno a diventare non bravi ma bravissimi, campioni, sulla base di letture veloci ma profonde, di intrusioni pazze nella scrittura la più ambiziosa possibile, con un senso del lavoro e del tempo che non so dove lo abbiano carpito, certo alle loro famiglie, certo alle abitudini e agli ambienti, certo a quanto c’è di comune in un giornale, in una città, ma quanto in fretta, e con che energia, cazzo. Sono esterrefatto della esistenza di giovani menti che possono stare alla guida del mondo, almeno del mio mondo, che è quello delle parole e della politica.
Renzi e le showgirl che comandano ai generali, ai finanzieri, ai banchieri, ai boiardi, ai burocrati, o almeno aspirano a comandare, non devono deludermi. Sarebbe veramente la fine. E chi mi legge deve sapere che il fattore età è sì una stronzata, perché i giovani devono solo invecchiare, e chi invecchia prima è il migliore, aggiungo io a don Benedetto, ma hanno dei titoli a mettere le mani in pasta dove noi, che le mani ce le siamo sporcate per benino, abbiamo fallito. Sono titoli assoluti, e l’età è tra questi.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
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