Voglio alzare le mani davanti alla bravura dei giovani talenti

Giuliano Ferrara

Da ragazzo disdegnavo i giovani, e forse li detestavo. Mi piaceva passare le serate a casa con gli amici grandi dei miei, mi piaceva sentirli parlare, litigare, discutere, mi piacevano i loro modi di fare, i segreti del loro teatro, dei corteggiamenti, delle ironie, delle solidarietà, delle ipocrisie, e poi erano qualche volta figure possenti, circondate da onorevole timore e da rispetto. I coetanei mi sembravano insulsi. Non avevano alcunché da dirsi e da dirmi. Erano carne della mia carne, certo, erano come me, ma per questo stavano un gradino al di sotto del rango dei grandi. Che noia il loro girotondo, che spasso e quale edificazione il minuetto degli amici di papà e mamma. Poi, negli anni, ho perfezionato con l’aiuto cinico di Benedetto Croce questo atteggiamento.

    Da ragazzo disdegnavo i giovani, e forse li detestavo. Mi piaceva passare le serate a casa con gli amici grandi dei miei, mi piaceva sentirli parlare, litigare, discutere, mi piacevano i loro modi di fare, i segreti del loro teatro, dei corteggiamenti, delle ironie, delle solidarietà, delle ipocrisie, e poi erano qualche volta figure possenti, circondate da onorevole timore e da rispetto. I coetanei mi sembravano insulsi. Non avevano alcunché da dirsi e da dirmi. Erano carne della mia carne, certo, erano come me, ma per questo stavano un gradino al di sotto del rango dei grandi. Che noia il loro girotondo, che spasso e quale edificazione il minuetto degli amici di papà e mamma.

    Poi, negli anni, ho perfezionato con l’aiuto cinico di Benedetto Croce questo atteggiamento. Ero ormai giovane uomo, rispettato e blandito come fiore della politica rivoluzionaria di fine Novecento, e affettavo sussiego verso i giovani, sempre per compiacere i vecchi, i vecchi del partito, quelli con la memoria, lunga, la mia passione politica incarnata. Così ripetevo, con don Benedetto, che l’unico compito dei giovani è invecchiare, non amavo la federazione giovanile, l’attivismo di serie b, per non dire di estremisti e gruppettari, entrai direttamente nel partito, nella tessera c’era l’immagine di Lenin, bisognava difenderlo, il partito, da ogni attacco, articolo 10, articolo statutario militare, che emozione, stupida e anche un po’ criminale ma emozione. Invece gli inni e i trastulli dei comunisti ragazzini, e le feste della gioventù in giro per l’Europa, e la retorica dei biliardini, dei pionieri, e “perché i giovani sappiano” e altri pedagogismi, mamma mia, tutto il tricche e ballacche delle giovani generazioni mi sembrava privo di significati importanti, sciapo. Continuavo a mio modo, da giovane, a essere avversario di ogni tipo di giovanilismo, e compiacevo gli anziani della tribù con questo atteggiamento spregiudicato e, a ricordarlo oggi, da bullo, irritante.

    Renzi e le ragazze ministro, tutta questa banda superenergetica che non sa l’indirizzo dei ministeri, che non ottiene l’abilitazione a insegnare, che è tacciata spesso non a torto di non sapere, di ignorare, di non avere il quid della memoria civile e politica, ma che ha fatto fuori la vecchia generazione politica della sinistra, ecco, questa è la nemesi dei miei peccati di ragazzo e di attor giovane. Ora che sono vecchio, sarà senilità, sarà saggezza, mi sembra indispensabile la loro strafottenza, il cazzeggio tecnologico, i tweet, gli orari sballati, l’amore narciso per l’immagine selfie, il senso di gruppo così spiccato e gregario, la disciplina senza sopracciò, la determinazione, anche, a fare in fretta, a fare tutto, a fare più di chiunque altro nella competizione, nella concorrenza, ma sulla scia dei piccoli leader che crescono come le piccole donne.

    Anche nel giornalismo viene l’ora. Odiavo i ruffiani verso i giovani. Bocca, che mi sembrava decisamente un avversario ideologico ma il migliore in campo, stava sulla scia dei ragazzi, e sempre ho misurato la stupidità di certe cose di lui e di altri che leggevo dalla volontà e voluttà indecente di compiacere i ragazzi, di non perdere il contatto con loro. Che banalità, pensavo. Quando il Foglio è cominciato ero come tra coetanei. L’età contava poco, eravamo tutti piccoli e senza troppa importanza, sopra tutto non ce la davamo. Oggi dopo quasi vent’anni, con il rinnovamento professionale, umano e anagrafico della redazione, io e qualche altro del gruppo originario ci sentiamo vecchiotti, è tutto cambiato, e osserviamo come fanno a diventare non bravi ma bravissimi, campioni, sulla base di letture veloci ma profonde, di intrusioni pazze nella scrittura la più ambiziosa possibile, con un senso del lavoro e del tempo che non so dove lo abbiano carpito, certo alle loro famiglie, certo alle abitudini e agli ambienti, certo a quanto c’è di comune in un giornale, in una città, ma quanto in fretta, e con che energia, cazzo. Sono esterrefatto della esistenza di giovani menti che possono stare alla guida del mondo, almeno del mio mondo, che è quello delle parole e della politica.

    Renzi e le showgirl che comandano ai generali, ai finanzieri, ai banchieri, ai boiardi, ai burocrati, o almeno aspirano a comandare, non devono deludermi. Sarebbe veramente la fine. E chi mi legge deve sapere che il fattore età è sì una stronzata, perché i giovani devono solo invecchiare, e chi invecchia prima è il migliore, aggiungo io a don Benedetto, ma hanno dei titoli a mettere le mani in pasta dove noi, che le mani ce le siamo sporcate per benino, abbiamo fallito. Sono titoli assoluti, e l’età è tra questi.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.