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Quanto vale Matteo Renzi?
Un giorno Renzi sembra il re della foresta, con un’opposizione interna scompaginata negli uomini e negli argomenti che usa, più mugugnante e umorale che pensante, con uno staff novatore inesperto ma leale solo a lui, con gruppi parlamentari inquieti ma condizionabili, come tutto il gruppo dirigente del partito e ministeriale (Letta compreso), da atti di politica decisionista, lungimirante, riformista. Il giorno dopo, osservando intuitivamente il processo innescato dal nuovo leader eletto nelle primarie, emerge invece una certa volatilità della sua iniziale parabola.
Un giorno Renzi sembra il re della foresta, con un’opposizione interna scompaginata negli uomini e negli argomenti che usa, più mugugnante e umorale che pensante, con uno staff novatore inesperto ma leale solo a lui, con gruppi parlamentari inquieti ma condizionabili, come tutto il gruppo dirigente del partito e ministeriale (Letta compreso), da atti di politica decisionista, lungimirante, riformista. Il giorno dopo, osservando intuitivamente il processo innescato dal nuovo leader eletto nelle primarie, emerge invece una certa volatilità della sua iniziale parabola.
Fermiamoci su questo secondo aspetto dell’esordio di Matteo. Perché volatile? E’ stato eletto con la convinzione che il Pd e la sinistra non si possono più permettere di perdere, che la vecchia nomenclatura è abbonata alla sconfitta, e che lui è l’unico il quale abbia la capacità di rimediare al danno, comprovato dalla vicenda Bersani. Il fenomeno Renzi ha mobilitato tre milioni di elettori, in linea di principio svogliati. Di questi elettori tre quarti sono confluiti nel consenso sul suo nome, che era meno cospicuo invece nel voto congressuale degli iscritti. Una buona base per una qualsivoglia politica decisionista. Il piedestallo giusto per una corsa rapida alla vera prova, che è la battaglia elettorale di restaurazione della vocazione maggioritaria del Pd e di conquista della presidenza del Consiglio in nome di un programma e di una squadra di rinnovamento. Così sembra, altro che volatilità.
Ma quanto è poi solida questa maggioranza delle primarie, quanto esprime davvero una leadership renziana senza alternative, dentro o fuori del Pd? Qui le cose cambiano. La corsa a Palazzo Chigi sembra dover durare un’eternità politica, lo scambio legge elettorale e voto nel 2015 invece che nella imminente primavera elettorale europea, con l’abbinamento delle politiche, parrebbe cosa fatta. Parrebbe. E questo ha come conseguenza un fatto certo: Renzi potrà tentare di ingabbiare Enrico Letta nel suo schema di leadership, e preparare cambiando il partito, la corsa ritardata verso il vero obiettivo della sua campagna di capo di tipo nuovo, di Blair all’italiana che rinnova il vecchio Pd. Ma i suoi avversari, con o senza il contributo del presidente del Consiglio, che non sembra proprio un animale politico, hanno l’occasione di cercare di logorare lui, l’eletto delle primarie, condizionarlo e al tempo stesso minacciarlo con la costruzione di un’ipotesi di nuovo partito laburista, di sinistra.
Si dirà. Sono vecchi arnesi. L’orologio della politica non torna indietro. Ma chi conosca il peso delle ideologie e della cultura corrente in Italia, e la persistente variante velenosa dell’antiberlusconismo come anema e core della base di sinistra, sa che la questione non si risolve sottolineando che la prospettiva di una scissione riguarda una classe dirigente dichiarata fallita. Renzi fallisce se si faccia diluire e ammorbidire, e invece è al centro di una scommessa non vinta in partenza se decida di perseverare nel rinnovamento e nella plastica facciale della vecchia immagine culturale, politica, civile e umana di quella strana creatura che è il Pd. Vecchi boss, sindacati, associazioni e intellettuali pubblici influenti della sinistra possono trasformare la logica di correntine in quella di un partito concorrenziale e competitivo con la “deriva destrorsa” del Pd renziano? Sì e no. In questa possibilità nasce il problema di un leader come Renzi, che deve riuscire a essere rassembleur sulla base di idee e di uno stile nel fondo non accettati o non considerati scontati anche da una parte del suo elettorato alle primarie. I casi nervosi di rottura personale scandiscono il suo esordio come leader di partito, esordio che rischia di protrarsi in una lunga deroga temporale del governino Letta: sono un avvertimento in questa direzione.


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