
La controffensiva
Saint-Just diceva che il Re deve morire perché la Repubblica viva. Non aveva previsto che duecento anni dopo il collo del primo Re europeo ghigliottinato da tribunali del popolo avrebbe subìto il supplizio di una lama di gomma. Il colpo si è sentito, certo, e non c’è giubbotto antiproiettile che ti protegga da un plotone di populisti, sinistri e opportunisti scrocconi, ma una situazione che non potrebbe essere peggiore, se vista a teatro e nel melodramma, può risultare in termini politici il meglio del peggio. Il drammaturgo del teatro della crudeltà e della caduta è stato Berlusconi in persona, questo è chiaro.
Saint-Just diceva che il Re deve morire perché la Repubblica viva. Non aveva previsto che duecento anni dopo il collo del primo Re europeo ghigliottinato da tribunali del popolo avrebbe subìto il supplizio di una lama di gomma. Il colpo si è sentito, certo, e non c’è giubbotto antiproiettile che ti protegga da un plotone di populisti, sinistri e opportunisti scrocconi, ma una situazione che non potrebbe essere peggiore, se vista a teatro e nel melodramma, può risultare in termini politici il meglio del peggio. Il drammaturgo del teatro della crudeltà e della caduta è stato Berlusconi in persona, questo è chiaro. Si fosse dimesso a metà agosto dicendo che la sentenza era ingiusta, perfino grottesca, ma le conseguenze amministrative andavano tirate secondo la legge, che aveva pronta una soluzione credibile per una nuova candidatura del centrodestra alle prossime elezioni e ovviamente faceva la riverenza alla maggioranza di larga coalizione continuando a guidare il suo popolo contro le miserie immobiliste di una politica che non garantisce né pane né circensi, fuori dal palazzo, e lo avesse fatto con serenità e un sorriso di circostanza, eppure luminoso, stampato sulle labbra, ecco, avesse scelto questa linea di resistenza operosa, contestando la sentenza in Europa e attivando la manovra politica astuta e dissimulatrice in Italia, la messinscena della decapitazione non ci sarebbe stata.
Pensateci: il Cav., che oltre a recitare da semidio è anche un essere umano, ha scelto per sé la parte del soprano grasso che canta l’ultima aria prima del sipario. Lo ha fatto per temperamento, e anche per istinto di combattente. Così la notizia è ancora una volta la “ruina” di Berlusconi in una delle sue sette vite feline alla Castruccio Castracani o alla Cesare Borgia, ma nonostante egli abbia invertito l’ordine dei fattori teatrali, il risultato politico non cambia. Lo sfregio subìto dal titolare del ventennio liberale e libertino è niente in confronto al disastro che potrebbe capitare tra capo e collo a chi vuole organizzare il regime del prossimo ventennio del conformismo e della noia, della saccenza e della maramalderia.
I più intelligenti tra i giacubbini l’hanno capito senza sforzo. Riassume i loro tristi dubbi la Jena sulla Stampa di Torino: “E se gli avessimo fatto un favore?”. Di qui deve cominciare la controffensiva. Partendo dai dati di fatto, e superando quisquiglie e pinzillacchere, dettagli di simpatia e antipatia personale, andando al sodo, che non è mai solo un sodo propagandistico. La parte vittimizzante era scritta con tutti i crismi e le regole dell’arte, ora il copione deve essere quello della riscossa, non della vendetta, e quindi bisogna guardare, come si dice con inevitabile pomposità, al futuro. Ci aiuta Gianni Cuperlo, che per tentare di battere Matteo Renzi nel Pd lo ha definito “la continuazione del berlusconismo”. Ecco, ci siamo. Per destituire il Re ghigliottinato con lama di gomma, dunque sempre vivo nonostante l’orgia di processi e di minacce che lo perseguita, bisogna che in Italia vinca uno scombinato e floscio partito che ha in Enrico Letta il suo capo da “semestre europeo” e negli alfanidi sostenuti dal molto barboso Eugenio Scalfari i reggicoda provvisori incaricati di incamerare un consenso che non hanno. Purtroppo per loro, bella sintesi di tutte le nomenclature possibili, tutta gente che ha vinto il potere alla lotteria della crisi, a partire dal loro capo, ci sono due ostacoli insormontabili.
Primo ostacolo è la necessità di riscattare l’Italia in Europa e dall’egemonismo eurocratico, senza di che nessuna riforma e ripresa del paese pare possibile (vedere il saggio mirabile di Giuseppe Guarino da noi pubblicato in mezzo alla crisi da decadenza).
Secondo ostacolo: Matteo Renzi, il “continuatore del berlusconismo”. Renzi non è affatto il “continuatore”, formula buona per guadagnare a Cuperlo uno 0 virgola per cento nelle prossime primarie dell’8 dicembre. Ma è, questo sì, certamente, un leader trentenne che si è rotto i coglioni della guerra civile ideologica e dei suoi vecchi apparati e macchine da guerra della sinistra perdente, un tipo da sbarco che si legittima in quanto persegue non già la segreteria di un partito e del suo caminetto di capicorrente, fatto ampiamente strumentale, quanto invece un programma di radicale rinnovamento delle forme della politica e della comunicazione, e dei mezzi riformatori capaci di garantire al paese una effettiva ripresa. Sounds familiar? Torniamo al ’94? Ora in questo c’è molto paradosso, ma fino a un certo punto.
La stabilità da cimitero denunciata dal Wall Street Journal, e nel suo piccolo anche qui, è (mi tocca dirlo, e spero che questa battuta non sfugga a Matteo) la “continuazione del lettismo” con gli stessi mezzi e nella stessa dinamica familiare postdorotea. Il sogno dell’impiccagione dell’Arcinemico (stavolta con una corda robusta, non con un elastico) si scontra, anche per il popolo della sinistra più bovina, con il conflitto tra un piccolo Tony Blair di Firenze, erede a suo modo della Thatcher all’italiana e innovatore generazionale, uno che può forse cercare i voti moderati che gli fanno vincere le elezioni ancora non vinte dopo tanti anni, e un piccolissimo erede del Conte Zio, il viceMonti oggi in carica per il disbrigo degli affari tedeschi, bancari e giudiziari correnti. Vedremo se il partito “stabilizza & scrocca” avrà ragione degli astratti furori di Renzi, tutto è possibile, ma è certo che da quella contraddizione, resa incandescente da una buona resistenza dei berluscones, passa la controffensiva.


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