
Questo Papa invece ci piace
Molte cose di Francesco sono fresche, sorprendenti, e promanano un carisma militante (trattandosi di un gesuita: militare) che investe e sprona un combattente dello spirito, quindi della cultura e della ragione come frontiere proprie anche agli uomini di fede. Ma l’omelia di ieri in Santa Marta è un veemente e audace sommario di ricomposizione e di canto dell’identità cattolica nel mondo contemporaneo. Sì, certo, i tradizionalisti spesso si comportano da imbalsamatori, e il Papa vuole una chiesa viva, una tradizione vivente.
Molte cose di Francesco sono fresche, sorprendenti, e promanano un carisma militante (trattandosi di un gesuita: militare) che investe e sprona un combattente dello spirito, quindi della cultura e della ragione come frontiere proprie anche agli uomini di fede. Ma l’omelia di ieri in Santa Marta è un veemente e audace sommario di ricomposizione e di canto dell’identità cattolica nel mondo contemporaneo. Sì, certo, i tradizionalisti spesso si comportano da imbalsamatori, e il Papa vuole una chiesa viva, una tradizione vivente. Ma alla fine identità e tradizione sono valori reali, non nominali, e non sono negoziabili se non al costo di rinnegare il centro della fede. Gesù prega il Padre perché salvi gli uomini dallo spirito del mondo, e riproporre questo afflato contro il “progressismo adolescenziale”, contro il “pensiero unico” derivante dall’omologazione egemonistica al volere del re secolare, è operazione formidabile, di schietto stampo cinquecentesco, piena di forza teologica e mistica. Non è vero, dice Francesco, quanto dicono “uomini scellerati, capaci di una persuasione intelligente”, non è vero che “davanti a qualsiasi scelta sia giusto andare comunque avanti piuttosto che restare fedeli alle proprie tradizioni”. “Fare quello che fanno tutti”, cioè aderire ai dogmi di un pensiero unico politicamente e ideologicamente corretto, è proprio di quella “generazione adultera e malvagia” che vende una identità di fede e di storia in una apostasia in favore di una “uniformità egemonica”, una globalizzazione babelica che comporta conseguenze penose. L’Anticristo di Robert Hugh Benson, che i lettori del Foglio conoscono attraverso il recente libro di Mattia Ferraresi e Martino Cervo, è usato da Francesco come metafora letteraria di questa apostasia, di questa ipertrofia “dell’Io e delle sue voglie”. Giudicherete voi, cari lettori, perché il testo è lì da leggere. Ma le complicazioni alle quali obbliga questo Papa S. I., anche quando nelle sue parole si sente una eco delle grandi omelie antirelativistiche di Ratzinger, sono benedette. Vabbè, ci sono le interviste, alcune delle quali segnate dal narcisismo della professione e derubricate a documenti “mondani” dall’archivio papalino, poi c’è una ricerca viva delle ragioni della fede cristiana moderna, nella lotta con il demonio.


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