L'oscena intimità di Vendola e della sua epica di redenzione con l'uomo dell'Ilva

Giuliano Ferrara

“Mi scuso con il mio popolo. Al telefono con Archinà, portavoce dei Riva dell’acciaieria di Taranto, avevo un tono di indecente intrinsechezza, una intimità un po’ oscena fra potenti, alle spalle di un giornalista rompicoglioni. Ho sempre predicato e trasmesso valori rovesciati rispetto a quell’immagine che mi è esplosa contro con anni di ritardo. Ora mi vergogno profondamente. Alle scuse segue un periodo di astensione e di raccoglimento, che vi prego di concedermi, perché il senso di futilità e di doppiezza morale che quelle risate pastose e servili hanno gettato su ciò che penso o pensavo di essere mi opprime, e non so se riuscirò a cancellarlo per riprendere tra voi il mio posto”. Nichi Vendola avrebbe dovuto chiudere così.

    “Mi scuso con il mio popolo. Al telefono con Archinà, portavoce dei Riva dell’acciaieria di Taranto, avevo un tono di indecente intrinsechezza, una intimità un po’ oscena fra potenti, alle spalle di un giornalista rompicoglioni. Ho sempre predicato e trasmesso valori rovesciati rispetto a quell’immagine che mi è esplosa contro con anni di ritardo. Ora mi vergogno profondamente. Alle scuse segue un periodo di astensione e di raccoglimento, che vi prego di concedermi, perché il senso di futilità e di doppiezza morale che quelle risate pastose e servili hanno gettato su ciò che penso o pensavo di essere mi opprime, e non so se riuscirò a cancellarlo per riprendere tra voi il mio posto”.

    Nichi Vendola avrebbe dovuto chiudere così, con dignità e umiltà da forte, la partita che si è aperta nel momento in cui si è ascoltato il verso cinico e di potere della sua pratica amministrativa dietro le quinte, sempre spacciata in palcoscenico come narrazione populista, come ansia di tenerezza e di solidarietà, come epica di misericordia. Ma esistono italiani capaci di un simile discorso? Ne dubito.

    Più comodo impiegare l’aggettivo “lurido” per definire la messa in linea dell’audio intercettato, prendersela non con sé, ma con un nemico oscuro e violento, e ricorrere a mezzucci ridicoli per depistare con argomenti speciosi l’attenzione esterrefatta di chiunque abbia ascoltato sul computer quei due o tre minuti di chiacchiera da osteria di nomenclatura. La mancanza di umiltà in questo caso è irrisione cinica, raddoppia il mal fatto. Non solo tutti sanno come stanno le cose, ma chiunque ha orecchio per intendere, intende. Vendola si dice esilarato, esilarato, per aver visto che il portavoce di Riva, nel difendere il patron dall’assalto di un giornalista che insinuava sue responsabilità per i tumori dell’Ilva, ha fatto uno scatto felino e gli ha tolto il microfono. Dice di aver largheggiato in risate, per un buon quarto d’ora, con il suo capo di gabinetto. E termina aggiungendo che lui non ha dimenticato i problemi, che garantisce di seguirli, non si preoccupino.

    Se ne sono lette di intercettazioni. Dai tempi di Pacini Battaglia su Di Pietro, fino ai romanzi rosa di Arcore e di Palazzo Grazioli, ci sono cascati in tanti. E i nastri sono sempre borderline, un po’ rivelano e un po’ nascondono, e consentono abusi e follie, calunnie e accuse indiscutibili. Spesso sono illegali, i nastri. Noi facciamo di tutto per ignorarli, per non darli in pasto, anche a noi stessi, e così pensiamo di salvaguardare il senso ultimo del giornalismo come esercizio responsabile del potere di informare in una democrazia matura. Ma una scissione tra quello che si vede e quel che si ascolta così palese e madornale ancora doveva arrivare, nelle nostre cronache origlianti e guardone.

    Per un capo populista, che ha nominato sinistra e libertà il suo movimento, che espone la sua fede nella redenzione dei lavoratori di tutti i paesi via lotta di classe, che censura il funzionamento disumano del capitalismo e delle sue imprese, che ostenta a ogni passo una sua fragilità e umanità diversa, per un tipo fatto così, che in questo modo ha costruito e costruisce le sue fortune, l’incidente dell’Ilva è definitivo. Ma sto parlando di un paese con qualche carattere, capace di riconoscere la verità e la menzogna dei suoi eroi, di leggere il proprio stato di coscienza e la propria dignità psicologica. Quindi quell’incidente sarà solo un impedimento provvisorio.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.