Magnoni a lezione di economia. I grillini tra “Vday” e parenti

Marianna Rizzini

Lo deve ripetere anche a se stesso, Beppe Grillo, quel “siamo già oltre” che ha preso come nuovo slogan (e ieri infatti lo ripeteva in video dal suo blog, con inconsueta giacca blu – “i miei a casa non mi hanno riconosciuto”, ha detto). Lo deve ribadire appena possibile, Grillo, tra un invito e l’altro a dimettersi al ministro Cancellieri, che lui e i Cinque stelle sono “oltre” e che tutto il nuovo del mondo – specie dal punto di vista della comunicazione – verrà spiattellato anche ai sordi e ai ciechi della casta la sera del primo dicembre.

    Lo deve ripetere anche a se stesso, Beppe Grillo, quel “siamo già oltre” che ha preso come nuovo slogan (e ieri infatti lo ripeteva in video dal suo blog, con inconsueta giacca blu – “i miei a casa non mi hanno riconosciuto”, ha detto). Lo deve ribadire appena possibile, Grillo, tra un invito e l’altro a dimettersi al ministro Cancellieri, che lui e i Cinque stelle sono “oltre” e che tutto il nuovo del mondo – specie dal punto di vista della comunicazione – verrà spiattellato anche ai sordi e ai ciechi della casta la sera del primo dicembre, quando l’ex comico, con contorno di “ospiti internazionali” ed esperti di scibile umano presente e futuro, salirà sul palco del terzo Vday a Genova, evento per cui, dice, già si profila una “spasmodica colletta” (“se avanza qualcosa, ce lo teniamo per le europee”).

    Lo deve ripetere, il suo “siamo oltre”, Grillo, anche quando gli eletti a Cinque stelle organizzano un convegno a puntate sull’euro a Montecitorio (accadeva lunedì scorso) e invitano, per il primo round, economisti da loro definiti “critici ma neutrali” – Gustavo Piga, Sergio Cesaratto, Riccardo Bellofiore e Gustavo Rinaldi – per “informare il cittadino” e dargli modo di decidere. Solo che poi il deputato Carlo Sibilia dice, in apertura dei lavori: “Alle europee finalmente come Cinque stelle porteremo le posizioni critiche sulla moneta unica, che sono quelle dei cittadini, e vinceremo”, e i professori (chi più, chi meno) non riuscivano a conformarsi a quella grandeur disfattista, e anzi vedevano qualche pecca nella relazione preliminare del M5s, e gentilmente davano fondo alla didattica: slide, grafici, conti, numeri, qualcosa che instillasse quantomeno il dubbio. Epperò alla fine sempre spuntava la domanda tipicamente a Cinque stelle, quella che tutto appiattisce all’ipotesi “o-o”, o dentro o fuori, o noi o morte.
    Troppo deve andare “oltre”, Grillo, per cancellare l’impressione di un mondo a Cinque stelle autoridimensionato nel primo e tanto sbandierato biglietto da visita, la famosa “trasparenza” (al punto che gli eletti non vogliono più lo streaming, fotografo impietoso di discordie non proprio nobili).

    “Ma non saremo per caso come tutti?”
    L’“oltre” di Grillo, al momento, non è nulla più di un wishful thinking, un magari che fluttua nell’aria. Lo specchio, ohimè, continua a rimandare un’immagine del M5s lontana dal mito quanto basta per dare forma all’interrogativo: “Ma non saremo per caso come tutti?”. Come tutti a livello di “mobilia” e di “famigghia”: pulsioni umane e pochezze banali che erano state frettolosamente dimenticate o sottovalutate dai grillini convinti di essere già ultracorpi a spasso nella galassia di Gianroberto Casaleggio. Non a caso, come per ricordare a se stessi le origini più aeree e per rinverdire l’ideologia di base, i vertici a Cinque stelle rimettono in circolazione in versione di libro cartaceo per Adagio, oltreché sotto la solita forma di e-book (in rete si vende, ma quanto?), il vecchio saggio “Tu sei rete” di Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto: un manuale di autocoscienza internettiana che parla dei “sei gradi di separazione”, del messaggio che deve essere “appiccicoso”, del marketing virale (anche in politica) e di un sistema in cui l’esempio del formicaio è quello vincente almeno quanto la comunicazione via “rete umana” dei guerrieri di Gengis Khan (è la stessa storia dei più noti video di Casaleggio padre).

    Nell’universo alla rovescia a Cinque stelle “l’essere come tutti” è questione spicciola: chi mangia e chi non mangia. Figurarsi che cosa succede quando, sotto un titolo di Repubblica (“cene pazze”), gli attivisti leggono che in Emilia Romagna i consiglieri grillini (due: Andrea Defranceschi e Giovanni Favia prima della cacciata di Grillo) hanno speso, a testa, in diciannove mesi, novemila euro per cibarsi (ma c’erano pure i dipendenti, dice Defranceschi, e stavamo in mensa, al baracchino o alla bocciofila, ed erano solo 21 euro al giorno a persona). Il problema è a monte, nella minaccia astratta contro “i ladri” e nella promessa astratta di frugalità, già infrantasi in Sicilia, mesi fa, di fronte alla pizza troppo condita e all’auto blu del (poi epurato) Antonio Venturino. Quando poi i novemila euro a testa dei grillini per i pranzi superano i seimila pro capite dei più numerosi (e nel totale più spendaccioni) consiglieri Pd, l’immagine riflessa farà anche venire voglia (a Grillo) di andare oltre lo specchio, ma c’è il rischio che dietro non ci sia nessun Paese delle meraviglie. “Parentopoli”, gridano alcuni senatori a Cinque stelle con funzione di spia (ecco la senatrice Laura Bignami) nei confronti dei colleghi che hanno assunto partner e amici come collaboratori, contravvenendo al codice etico che vieta di assumere parenti o affini fino al quarto grado.

    La “nuova comunicazione” comprende un Grillo in giacca, l’ottimismo (“verso l’infinito e oltre”, dice il logo del Vday) e i corsi di economia con proposito di ascoltare tutte le campane (“ma non troviamo gente nettamente pro euro”, diceva non si sa se scherzando o meno un parlamentare grillino durante il convegno). Ma la nuova comunicazione è soprattutto lo sforzo immane di tenere insieme la testa e le gambe del Movimento (e la borsa): solo che stavolta il problema non si chiama “diaria” ma appunto “parentopoli”, con due senatrici (Vilma Moronese a Barbara Lezzi), accusate dai colleghi di aver assunto come collaboratori il partner e la figlia del compagno, e con alcuni deputati accusati di aver assunto militanti già eletti in qualche municipio o scartati alle parlamentarie per un cavillo. Ma anche qui il problema sta a monte, nelle minacce (al mondo) e nelle dichiarazioni d’intenti (anche firmate dai candidati alle “parlamentarie”) in cui si pretendeva di essere più puri a prescindere e si urlava preventivamente al “delinquente” a tutti gli altri, e ci si sentiva talmente puliti da promettere di “preferire, ove possibile, la via del bando pubblico” o quantomeno della gara aperta tra curricula – ma nei primi mesi in Parlamento la faccenda si era complicata, con montagne di candidature (circa ventimila) giunte al gruppo Cinque stelle. E alla fine qualcuno, evidentemente, ha trovato la sua promessa un po’ troppo restrittiva.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.