Compensi, evasori e conduttori. I tecnici Rai alla pena del contrappasso
“C’è un dio segreto che all’ultimo momento salva sempre la Rai”, dicono in Rai quando qualcosa ne disturba l’equilibrio. “Ma stavolta il dio doveva essere già arrivato”, dice con riso amaro un osservatore interno (né s’è visto, il dio, alla vigilia dell’incontro di oggi in commissione di Vigilanza, dove i vertici Rai incontreranno i loro “critici”). Ci sono stati anni più turbolenti (sotto Mauro Masi direttore generale e Paolo Garimberti presidente). Ci sono state polemiche più roboanti (vari casi Santoro, quando era in Rai).
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“C’è un dio segreto che all’ultimo momento salva sempre la Rai”, dicono in Rai quando qualcosa ne disturba l’equilibrio. “Ma stavolta il dio doveva essere già arrivato”, dice con riso amaro un osservatore interno (né s’è visto, il dio, alla vigilia dell’incontro di oggi in commissione di Vigilanza, dove i vertici Rai incontreranno i loro “critici”). Ci sono stati anni più turbolenti (sotto Mauro Masi direttore generale e Paolo Garimberti presidente). Ci sono state polemiche più roboanti (vari casi Santoro, quando era in Rai). Ma stavolta il problema è doppio, perché investe direttamente – e con feroce contrappasso – la soluzione che un anno e mezzo fa si pensava di aver trovato: mettiamoci i tecnici al vertice della Rai, si era detto in pieno governo Monti, quando ancora “tecnico” sembrava garanzia di intoccabilità mediatica, non essendo ancora sinonimo di “prossimo a salire in politica” (vai a pensare che i tecnici, anche revisori di conti e guardiani del canone, sarebbero stati messi poi sotto accusa, seppure per interposta persona, per un Maradona che, da Fabio Fazio, fa il gesto dell’ombrello in direzione di Equitalia, con il pubblico politically correct che si mostra solidale).
Erano arrivati con tutto il mistero e tutto il rispetto, Anna Maria Tarantola (presidente) e Luigi Gubitosi (direttore generale), con il loro passato senza lustrini tra banche e aziende, e con tutto un programma di spending review e controlli interni che avevano fatto gridare preventivamente al miracolo quelli che, nella Rai, vedevano lo specchio di tutti i mali possibili (e di tutti i Cav. possibili). I tecnici si erano messi al lavoro sul fronte “del carrozzone”, cioè “della corporate”, dicono in Rai. Il cosiddetto “prodotto”, che non era la loro materia, l’avevano lasciato sullo sfondo. Poi avevano pensato di aggredire pure quello, con cambi di poltrone ai vertici della Fiction e delle reti, ma vai a prevedere che proprio dal “prodotto” che si pensava più consolidato e accettato in società dovessero arrivare, poi, simili problemi di immagine.
Eppure è accaduto che tutto l’Olimpo di Rai3 finisse sotto osservazione e sotto accusa in nome della trasparenza su spese e compensi e del pluralismo sugli ospiti, carenti secondo l’accusatore Renato Brunetta (Beppe Grillo concordava, l’Agcom sottolineava la necessità di un riequilibrio nelle presenze ma il dg Gubitosi interveniva a difendere Fazio, “non un costo ma una fonte di profitto per l’azienda” – e però quell’intervento era il primo segnale di impossibilità, per il dg tecnico, di restare tale). Si erano illusi, i tecnici, di poter volare al di sopra delle polemiche Rai (la Rai era scomparsa dai radar), mandando avanti i cosiddetti “uomini di prodotto” per poter controllare meglio il resto: conti, appalti, irregolarità da sanare. Come giustificano le spese i dipendenti e gli inviati?, era il cruccio del duo dirigenziale, “molto concentrato”, spiega un dirigente Rai, sul “ridurre i costi fissi e non fissi” (ma basta, tutto ciò, se i ricavi arrancano?).
Finora i tecnici non si erano preoccupati del riscontro esterno (né si erano preoccupati alcuni nuovi membri del cda di area Pd, convinti di trovarsi in una situazione di luna di miele mediatica). Ma quando, proprio nel salotto Rai più “perbene”, il Maradona felicemente evasore ha ottenuto addirittura gli applausi, per giunta in piena campagna Rai contro l’evasione del canone, è stato chiaro che neppure i tecnici potevano evitare alla Rai di rituffarsi nel suo destino, ma a parti rovesciate (stavolta è il centrosinistra a essere nel mirino della Vigilanza). Non solo: i tecnici-risanatori di bilanci sono anche accusati di essersi lasciati sfuggire “l’affare” (Maurizio Crozza, per paura del “che dice la gente” sui compensi). Non resta neppure una consolazione: il Festival di Sanremo, infatti, regno del duo Fazio-Littizzetto, è diventato in Viale Mazzini un altro cruccio, e non tanto per le minacciate sortite di Beppe Grillo, quanto per l’onda lunga del grido anti casta su compensi ed evasioni fiscali, nemesi crudele se concentrata sulla sinistra della “legalità” (argomento che, per giunta, è capace di oscurare, e per più giorni, il sonnacchioso rito pre-congresso del Pd).
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