Cosa dicono gli iraniani che combattono in Siria per fare vincere Assad

Daniele Raineri

Un video dal fronte è la prova più recente del coinvolgimento nella guerra civile siriana di militari mandati dal governo di Teheran

Il comandante iraniano parla seduto su una sedia di plastica, descrive le milizie irregolari di combattenti siriani che guida in battaglia contro i ribelli. E’ il tramonto, su una terrazza di Aleppo, la città nel nord della Siria divisa a metà tra governo e ribelli. “La maggior parte dei combattenti siriani su questo fronte li abbiamo addestrati noi in Iran. Sono bravi, hanno poche aspettative, hanno bisogno soltanto di due cose: di sigarette e del loro tè”. E’ un’intervista video girata quest’estate e trovata addosso a un uomo ucciso dai ribelli siriani, è in farsi – la lingua iraniana – ed è stata confermata come autentica da due analisti iraniani sentiti a Teheran dal corrispondente del New York Times. E’ la prova più recente del coinvolgimento nella guerra civile siriana di militari mandati dal governo di Teheran.

 

Questa interferenza pesante è anche la ragione del cambio strategico di Israele, annunciato ieri in un’intervista dall’ambasciatore uscente a Washington, Michael Oren, che ha detto che “i ribelli siriani, anche se alleati con al Qaida, sono da preferire come vicini a Bashar el Assad, che è alleato con gli iraniani”. Per questo Israele vorrebbe che Assad cadesse – ed è una posizione netta rispetto all’attendismo precedente. Il calcolo potrebbe essere questo: se americani e russi riusciranno davvero a trasferire e distruggere l’arsenale chimico di Assad entro metà del 2014, allora il governo di Gerusalemme vedrà nell’accozzaglia magmatica di gruppi ribelli una minaccia minore rispetto all’asse Assad-Iran.

  

Nel video trafugato il comandante iraniano parla con tono accondiscendente dei filogovernativi siriani, li tratta con distacco superiore, come ascari locali. “Nel loro esercito sono trattati con durezza, sono umiliati, noi invece gli parliamo con rispetto. Tornano volentieri a combattere con noi, anche se ogni 25 giorni c’è la rotazione, non restano mai più a lungo nello stesso posto. Questa non è una guerra tra l’esercito e il popolo, è una guerra tra il bene e il male, noi siamo il bene, dall’altra parte ci sono Israele, l’Arabia Saudita, la Turchia, il Qatar…”. Il rapporto tra i consiglieri militari stranieri e i soldati siriani e i civili sunniti che esce fuori dall’intervista e dalle immagini ricorda la counterinsurgency, la strategia americana per conquistare la simpatia dei locali in Iraq e Afghanistan. “Guidiamo piano i veicoli in mezzo a loro, stiamo attenti a salutare sempre”. A tratti spunta fuori anche il sentimento di superiorità persiano: “Qui prima non c’erano esseri umani, era un luogo abbandonato”, dice un iraniano in macchina. “Nemmeno adesso, ci sono soltanto arabi…”, risponde un altro.

    

Ieri un articolo scritto da Farnaz Fassihi per il Wall Street Journal rivelava che migliaia di volontari sciiti arrivano di notte da paesi arabi, a bordo di bus con i finestrini coperti, in una grande base delle Guardie della rivoluzione a 20 km da Teheran. E’ il sito dove le Guardie tengono i loro missili balistici e da quest’anno serve anche come campo d’addestramento e indottrinamento delle milizie che andranno in Siria a combattere per difendere il territorio ancora controllato dal presidente Bashar el Assad. I corsi sono misti: come sparare con armi pesanti, ma anche lezioni con predicatori sciiti che sottolineano il carattere di jihad, di guerra santa, della campagna in Siria. L’ideatore di questa gigantesca operazione di aiuti militari è il generale iraniano Qassem Suleimani, capo dell’unità “Al Quds” (“Gerusalemme”), che si occupa delle missioni all’estero delle Guardie della rivoluzione.

   

Tutto il governo al funerale della mamma

La rappresentanza iraniana alle Nazioni Unite nega qualsiasi interferenza in Siria. Ma è stato l’intervento di Suleimani a salvare dal collasso il governo di Assad, con un commissariamento militare che va sotto il nome di “Piano Suleimani” – e sabato tutto il governo iraniano ha reso riverentissimo omaggio al generale, al funerale della madre. 

  

Teheran decise di intervenire dopo l’attentato del 18 luglio 2012, che spazzò via metà dell’establishment assadista, inclusi il ministro della Difesa e il capo dell’intelligence, e dopo l’assalto dei ribelli ad Aleppo, la città più popolosa del paese. Già alla fine dell’estate 2012 i militari iraniani avevano stabilito centri di comando al fronte e si erano inseriti nella catena di comando dell’esercito siriano. Un comandante ribelle dice via Skype al Wall Street Journal: “E’ Suleimani a governare la Siria, Assad è soltanto il suo podestà”. 

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)