Relativismus

Giuliano Ferrara

Ratzinger voleva che la ragione diventasse più grande e meglio capace di percepire il suo limite, che è il mistero. L’Io e le sue voglie sono l’irrazionale moderno onnipotente, il Relativismus con i suoi profili filosofici ed etici. Papa Francesco scrive a Scalfari, che gli aveva chiesto lumi sulla salvezza per un non credente, rassicurandolo: la verità cristiana è una relazione, e alla fine quel che decide è l’amore di Dio per noi e attraverso di noi, insomma la coscienza.

    Ratzinger voleva che la ragione diventasse più grande e meglio capace di percepire il suo limite, che è il mistero. L’Io e le sue voglie sono l’irrazionale moderno onnipotente, il Relativismus con i suoi profili filosofici ed etici. Papa Francesco scrive a Scalfari, che gli aveva chiesto lumi sulla salvezza per un non credente, rassicurandolo: la verità cristiana è una relazione, e alla fine quel che decide è l’amore di Dio per noi e attraverso di noi, insomma la coscienza. Accettare la verità rivelata o sottoporla a critica razionale, dire le ragioni della fede anche nello spazio pubblico, costruire un ponte tra Atene e Gerusalemme, danzando sul baratro dell’assoluto, diventa una variabile minore se il divino si autocomunica, se è prospettiva immanente e intima alla persona nella relazione con l’altro. I gesuiti sanno come fare missione. Hanno elaborato la missionologia portandola a vette iperteologiche. La loro pretesa relativistica è stata oggetto di calunnie, di sberleffi pascaliani, di inquisizioni d’ogni genere, sono stati combattuti e banditi dai governi e dalla stessa chiesa per questa loro capacità politica di inculturare la fede cristiana in forme le più sottili, le più arrischiate.

    Scalfari è un bel test. Francesco ha in uggia la mondanità nella chiesa, ma la mondanità fuori della chiesa è ben deciso a padroneggiarla. Arriva un’età in cui ci si chiede quali siano i termini del perdono cristiano, così, tanto per non sbagliare, e arriva la risposta, che tintinna con la parola coscienza. Lutero fece la Riforma perché tintinnava das Geld (wenn das Geld klingt…), la moneta delle indulgenze. I gesuiti nacquero per trasformare l’indulgenza rinascimentale corrotta e materiale in una ritualità devozionale più complessa della salvezza. In India concedevano troppo ai disgusti delle popolazioni indù, si diceva, fino al punto, ma erano in parte calunnie, di riformare essi stessi il rito del battesimo. Nelle controversie malabariche, celebri battaglie di idee che hanno fatto grande e terribile la storia della chiesa, si rimproverava loro di parlare con i brahmini evitando i paria per accondiscendere all’interdetto castale. Più tardi fu messa in discussione una certa interpretazione marxista della opzione preferenziale per i poveri, oggi di nuovo in spolvero, ma nelle forme nuove della Restaurazione, con il principe della dottrina, il Prefetto del Sant’Uffizio, che presenta a Mantova, festival della letteratura, un libro a quattro mani scritto con il profeta della liberazione teologica, Gustavo Gutiérrez. C’era del vero e del falso nella guerra intorno al relativismo, che sempre ha accompagnato gli ignaziani, fino alla polemica sull’esistenza di un relativismo cristiano, polemica civile e dotta, portata dal gesuita Martini nell’orto dell’agostiniano Ratzinger. Ma sempre i reverendi padri sono stati eroici, intelligentissimi, studiosi e martiri nell’assolvere a tutti i loro voti, compreso il quarto dell’obbedienza. Paolo VI chiese e non ottenne una completa e sicura sottomissione quando segnalò ai gesuiti di Arrupe che “la loro disponibilità al servizio” poteva “degenerare in relativismo, in conversione al mondo e alla sua mentalità immanentistica, in assimilazione con il mondo che si voleva salvare, in secolarismo, in fusione col profano” (XXXI e XXXII Congregazione generale, 1974). I padri attraversarono una grande crisi, ma siccome sono i migliori trovarono alfine il modo di risolvere il cruccio dell’obbedienza, e quando la chiesa entrò in crisi decisero di passare al contrattacco obbedendo a se stessi.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.