In Siria ci si doveva immischiare per tempo. Ora occorre la forza

Giuliano Ferrara

Non c’è una divisione propriamente politica o ideologica sulla questione siriana. In America e in Europa conservatori e progressisti sono su fronti diversi, si intrecciano gli schieramenti in tendenze isolazioniste e interventiste, Obama rinvia tutto e si copre ma vuole lo strike, così Hollande, ma una folta truppa dei repubblicani del Congresso di Washington si allea con i liberal dissenzienti per il no, e così in Europa il presidente socialista francese è solo, e il colpo decisivo glielo ha dato il conservatore Cameron, a parte la posizione tutto sommato trascurabile e da sottocultura papalina della radicale Bonino e del ministro della Difesa che digiuna e fa dichiarazioni di un’ovvietà conformista riprovevole. L’appello all’Onu è come sempre la vetrina delle ipocrisie.

George La via cristiana alla guerra giusta

    Non c’è una divisione propriamente politica o ideologica sulla questione siriana. In America e in Europa conservatori e progressisti sono su fronti diversi, si intrecciano gli schieramenti in tendenze isolazioniste e interventiste, Obama rinvia tutto e si copre ma vuole lo strike, così Hollande, ma una folta truppa dei repubblicani del Congresso di Washington si allea con i liberal dissenzienti per il no, e così in Europa il presidente socialista francese è solo, e il colpo decisivo glielo ha dato il conservatore Cameron, a parte la posizione tutto sommato trascurabile e da sottocultura papalina della radicale Bonino e del ministro della Difesa che digiuna e fa dichiarazioni di un’ovvietà conformista riprovevole. L’appello all’Onu è come sempre la vetrina delle ipocrisie.

    Si continua a non capire quale è il problema. Non è quello di una polizia internazionale che interviene perché è stata violata una regola, le armi chimiche. Lo sostiene Adriano Sofri, e con lui una folta pattuglia di umanitari diffusi in paesi europei e negli Stati Uniti, ma non mi sembra sensato. Un atto di ripristino della legalità deve avere il bollo delle Nazioni Unite o altro di simile, una sanzione appunto legale che non è sufficiente mettere in capo all’autorità del Pentagono, della Casa Bianca e dell’Eliseo. Qui si tratta di politica di sicurezza su scala mondiale, si tratta del ruolo dei grandi eserciti occidentali, dell’alleanza con i sauditi e altri arabi ostili ad Assad e al suo strategico mandante, l’espansionista e rivoluzionario paese sciita che si chiama Iran.

    C’è chi dice: lasciamo che si sbranino fra loro, l’islam è fatto così e non possiamo farci niente. Ma il mondo non può vivere in sicurezza con una Umma islamica lasciata in balia di se stessa nei rapporti internazionali. Il mondo è interdipendente. Un paese che si incanaglisce, un regime che gasa chi lo attacca, uno scontro tribale proiettato con la violenza di centomila morti sulla scena mondiale, e anche un fronte di guerriglia inquinato da forti componenti islamiste di tipo politico o quaidista, tutto questo non può essere un problema che non riguarda l’occidente. Mi sembra atto di puro buonsenso o di senso comune pensarlo.

    L’intervento si giustifica razionalmente e realisticamente alla luce dei fallimenti strategici dell’America e dell’Europa nel controllo della geopolitica mediorientale. Niente fanfare. Bush e i suoi agivano in nome della moral clarity e della freedom agenda, giusto o sbagliato avevano un’idea nella risposta, nella dura, tremenda replica all’attacco su New York e Washington dell’11 settembre del 2001. A Baghdad si è andati perché ci si voleva andare, c’era una logica. Qui zero idee, solo parole e retoriche ireniste, e alla fine il prodotto della mano tesa e del sostegno non impegnativo alle famose primavere arabe è la convulsione, dal Cairo a Damasco, in uno scenario prenucleare determinato da Teheran. Gli obiettivi siriani saranno colpiti perché non ci si è voluti immischiare. Posizione debole in partenza. E saranno colpiti con l’enfasi sull’intervento limitato, un handicap militare e strategico notevole. Invece ci si doveva immischiare per tempo. Magari con un negoziato rafforzato da deterrenza, dissuasione e capacità politica. Magari con Mosca e Pechino. Ma quando non si fa nulla di concreto, se non discorsi che spacciano sogni, alla fine ci si ritrova in un incubo. L’incubo della linea rossa contro le armi chimiche e delle sue conseguenze.

    Chiedono le prove. Sbandierano le armi non convenzionali non trovate in Iraq. Continuano a sfruttare la vischiosa inclinazione a confondere politica e regole non politiche sulla scena dei rapporti di forza. E allora ci si incarognisce ancora di più. La pace o l’ordine come risultato della guerra per la sicurezza, e contro la destabilizzazione, non è un risultato giuridico, è un risultato politico. E richiede energia, temperamento, capacità di pensare con i tempi giusti il momento in cui il ricorso alla forza può generare il negoziato o è infine costretto a definire il campo della tua identità e quello dell’identità nemica. Altre soluzioni nella storia del mondo, a parte Monaco, non sono mai state trovate.

    George La via cristiana alla guerra giusta

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.