
La notte occidentale
Fa notte in occidente, tramonti e crepuscoli sono cose del passato. Nel secolo scorso abbiamo imparato a nostre spese costi e benefici della guerra e della politica. L’ultima, fredda, l’hanno vinta un Papa coraggioso, una Lady who was not for turning e un attore di Hollywood improvvisato profeta del risveglio americano nel mondo. Un barlume di luce resisteva. Oggi campeggiano nel buio la resa di un pontefice romano sconfitto, lo schiaffo inaudito dei Comuni a un conservatore che impersona lo swinging premier, un presidente nero con il suo carico inutile di speranza e di estenuante attendismo retorico. Gli imperi decadono. Il disordine cresce.
Fa notte in occidente, tramonti e crepuscoli sono cose del passato. Nel secolo scorso abbiamo imparato a nostre spese costi e benefici della guerra e della politica. L’ultima, fredda, l’hanno vinta un Papa coraggioso, una Lady who was not for turning e un attore di Hollywood improvvisato profeta del risveglio americano nel mondo. Un barlume di luce resisteva. Oggi campeggiano nel buio la resa di un pontefice romano sconfitto, lo schiaffo inaudito dei Comuni a un conservatore che impersona lo swinging premier, un presidente nero con il suo carico inutile di speranza e di estenuante attendismo retorico. Gli imperi decadono. Il disordine cresce. Le guerre religiose, fra le civiltà e nelle civiltà, dilagano senza un principio ordinatore, senza una strategia di stabilizzazione, di potere, di comando. I connotati della politica mondiale sono irriconoscibili, pallidi, insignificanti.
Barack Obama ha per adesso sbagliato tutto, tempi e modi, come Bill Clinton prima di lui e anche peggio. La sua “linea rossa” contro le armi chimiche era il fantasma legale di una politica di potenza dentro quella che David Brooks chiama l’alternativa tra anarchia e atrocità in cui si sta riducendo il medio oriente. Acido acetilsalicilico, aspirina, contro il gas nervino. Un arbitro stabilisce per regolamento di intervenire quando uno dei boxeur smette i guantoni, recupera all’angolo una pistola e spara all’altro. Tutti i dogmi della nuova fase si sono volatilizzati in un attimo già fuggito: le primavere arabe seppellite al Cairo e a Damasco e ovunque in una guerra dei trent’anni, come dicono gli osservatori più accorti, di cui non si vedono l’inizio né la fine, solo un ossessivo e rischioso presente senza centro e senza senso; il multilateralismo che si riduce al perfetto isolamento dell’America riluttante, incapace di leadership, mentre l’Onu e le altre forme possibili della pace armata, dalla special relationship atlantica alla Nato, si disintegrano e deflagrano; la libertà non si esporta con le baionette, dicevano questi finti realisti quando l’America faceva e vinceva le guerre del grande gioco smontato ora come un meccano da mani bambine, con i risultati che si sanno in Iraq e in Afghanistan, e adesso sono i gas, un tabù di un secolo intero infranto alla periferia di Damasco, a farla da padroni.
Il disastro ha un suo tragico aspetto postmoderno. La comunicazione prevale sulla informazione dei servizi di intelligence, la dittatura del relativismo stupido e inerte delle opinioni pubbliche sottomette la giudiziosa e sensibile, eroica attività dei professionisti della guerra in un’aura tossica di pace al Sarin. I Commons fanno un talk show e la caduta di un orgoglio della Corona durato abbastanza per salvare le libertà comuni adesso la chiamano primato del Parlamento. La Bonino ha da dire la sua senza che nessuno le chieda di parlare, non dico di agire. I francesi sono ostentatoire, agitano nel piccolo la grandeur perduta, replicano nel Mali e in Siria (forse e vedremo come) la farsa di Libia, quando grandi manovre e drôle de guerre portarono alla caduta e al linciaggio di un dittatore arabo-beduino da tempo in pensione, facendo dell’occidente, per consentire a un presidente grottesco di vincere una campagna elettorale che perderà, il sostegno di un nuovo assetto tribale e poco più. La riluttanza è la chiave, he has a dream, ma non una strategia politica. Un bombardamento di parole celebrative sotto il monumento a Abraham Lincoln, quell’uomo di sapienza lunga e di metodi spicci e di sacrosanta ferocia politica e filosofica, mentre il tassametro siriano procedeva come un rigassificatore oltre la linea grigia del centomillesimo morto di guerra civile, oltre lo schermo squilibrato delle strategie rivali di Sauditi e Ayatollah.
Non è vero, sebbene lo abbia detto Hegel, che nella notte tutte le vacche sono nere. Ora tutti si accorgono in ritardo del ritardo, a qualcuno viene il dubbio che si sia smontata in tutta fretta, in un banale gioco d’opinione considerato sale democratico, la linea di difesa dell’occidente fondata sulla sfida esistenziale alle varianti impazzite dell’islam politico dopo l’11 settembre 2001. Nella disunione, non compensata da una coalizione dei volenterosi, non contrastata dalla moral clarity dei Rumsfeld, dei Cheney, delle Condoleezza Rice, dei Bush, emerge il gusto amaro della sconfitta preventiva. Nella proxy war che infuria intorno ad Israele e si distende in tutte le capitali mediorientali agisce la tremenda incapacità di chiudere accordi che reggano, di parlare un linguaggio persuasivo, di tenere a bada negoziando Russia e Cina, insomma di fare alcunché se non stabilire regolette e mandare incrociatori a farle rispettare. Ma a chi la vogliono raccontare, questa favola horror e tristemente notturna?


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