
Moderato fa rima con frustrato
Il moderato italiano è un frustrato naturale, come dimostrava ieri l’editoriale del Corriere, di Ernesto Galli della Loggia. Al moderato non piace Berlusconi. Detesta i suoi modi, la sua lingua, il suo abbigliamento, la sua stessa anomalia costituzionale, il privato in politica. Non gli sta bene la sinistra nelle sue diverse incarnazioni, con i riti ideologici, il politicismo professionale d’apparato, i programmi verbosi e inconcludenti, il retaggio storico.
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Il moderato italiano è un frustrato naturale, come dimostrava ieri l’editoriale del Corriere, di Ernesto Galli della Loggia. Al moderato non piace Berlusconi. Detesta i suoi modi, la sua lingua, il suo abbigliamento, la sua stessa anomalia costituzionale, il privato in politica. Non gli sta bene la sinistra nelle sue diverse incarnazioni, con i riti ideologici, il politicismo professionale d’apparato, i programmi verbosi e inconcludenti, il retaggio storico. Al moderato non far sapere quanto è ributtante il centro con le pere: Mario Monti è senza idee e senza voti, Casini un parassita, le uniche due esperienze di partito centrista con esito elettorale sono mostri, l’Uomo Qualunque e Forza Italia. Oddio, il populismo. La Democrazia cristiana era un’ameba, copriva i problemi senza risolverli, con il vantaggio della guerra fredda e di un partito comunista non potabile in occidente. Il frustrato sofisticato di rango, come l’editorialista menzionato, arriva a criticare antropologicamente e civilmente perfino sé stesso.
Non gli piacciono le élite moderate transigenti, gente che si occupa degli affari propri, diffida della dimensione pubblica della politica, non vuole assemblee e ordini del giorno, non s’immischia, borbotta e si limita, quando va bene, all’associazionismo corporativo o professionale. Voto pessimo per quelle intransigenti, famose per bloccare il sistema del ricambio e del rinnovamento culturale intorno agli stereotipi del più insulso e falso moralismo bacchettone. Vedo che con l’aiuto di un faticone professore di Princeton, Maurizio Viroli, e dei suoi cantori, hanno arruolato perfino quel grande predicatore anticristiano e formidabile consigliori del male, Niccolò Machiavelli, tra le file dei buoni patrioti e degli idealisti e dei facitori di una laica morale della gloria. Ma quanto saranno diventati scemi, nel college che fu di Einstein per la fisica e, quanto a Machiavelli, di Sebastiano De Grazia? Transigenti o intransigenti, il morbo di Cassano (Franco Cassano, Università di Bari) affligge tutti i moderati e tutta la sinistra: non si mischiano, nemmeno con sé medesimi, non gli va bene la serietà al governo di Prodi e Bersani, non il governo dei banchieri e dei bocconiani, non l’uomo forte di sinistra, non il milanese intraprendente che deposita sullo stato il suo carisma privato, niente di niente li soddisfa, li completa.
I moderati frustrati, anche quelli con un buon senso della storia come Galli della Loggia, affrontano i passaggi di Repubblica, i cambi di principato, sorvolando su fatti e cose. Sono esterofili, sono come i corrispondenti dall’estero, i Severgnini di pronta beva o altre clamorose teste d’uovo. Negli ultimi vent’anni hanno assistito a un esperimento politico unico al mondo, nel bene e nel male, che ha portato l’alternanza di forze diverse alla guida dello stato per la prima volta in tutta la storia italiana unitaria (osservazione più che giusta di un Paolo Mieli). Altro che conflitto di interessi. Altro che autoritarismo carismatico. Altro che padrone di plastica. Una volta si passava di regime in regime, poi con Berlusconi è cominciato il cambio di segno dei governi per decisione degli elettori. Chissà, potrebbe anche essere un progresso democratico, e poteva essere una buona evoluzione del sistema dei partiti, che le campagne codine della magistratura più rozza e corporativa del mondo avevano condannato in blocco alla gogna e al carcere. Inoltre la parte popolare del moderatismo italiano possibile e reale, il ceto medio e medio basso che vota, i piccoli e medi imprenditori che tirano la carretta con i loro dipendenti, ha aderito alla politica per la prima volta, via Lega e, più massicciamente e nazionalmente, via Cavaliere.
E’ stato loro aperto del credito moderato, credito cooperativo moderato? No. Gli outsider sono pericolosi. E gli insider come Monti, quelli che hanno fatto la riforma delle pensioni da ottanta miliardi di cui si favoleggiava da decenni, quelli dell’euro? Sono rivali di qualche cricca, non possumus, vanno trattati in modo condiscendente e sprezzante. E i partiti o quel che ne resta? Sono casta del privilegio, guadagnano bene, neanche fossero giornalisti. D’Alema sta tra buone scarpe e buoni vini rossi. Anatema. Ma in queste condizioni chi mai può prendersi il diritto di parlare a nome dei moderati? Quali? Con quali idee, a parte la filastrocca del buon cittadino? L’editorialista è nothing but critical. Hanno i mezzi per pensare ma si sforzano di non usarli. Ogni incarnazione italiana è per essi repellente, vogliono una politica disincarnata, senza parti in conflitto, quirinalizzata nel vecchio senso del protocollo presidenziale, inquadrata in una eterna arbitrale terzietà priva di humour, di autoironia, di senso della realtà. Ma dove vivono i moderati?
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