Il bivio di Berlusconi

Giuliano Ferrara

Berlusconi e i suoi avvocati. Una sera di bevute e chiacchiere incontrai, nella Roma dei primi anni Settanta, un gran signore e pasticcione palermitano, proprietario di un antico palazzo alla Vucciria, la Kalesa, dove ebbi poi l’onore di dormire ospite in una stanza grande come una sala da ballo, con il lettino distante da quello padronale, dove per tradizione e cortesia si accomodava infine nel sonno la compagna di una notte del Marchese. Era un caro amico di Carlo Caracciolo, e fu a lungo suo sodale e ospite romano. Mi divertii quando, domandato che gli ebbi dove fosse sistemato a Roma, rispose: “Da Carlo”, e alla successiva domanda: “Da quanto tempo?” replicava serio e compassato: “Da diciott’anni”.

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    Berlusconi e i suoi avvocati. Una sera di bevute e chiacchiere incontrai, nella Roma dei primi anni Settanta, un gran signore e pasticcione palermitano, proprietario di un antico palazzo alla Vucciria, la Kalesa, dove ebbi poi l’onore di dormire ospite in una stanza grande come una sala da ballo, con il lettino distante da quello padronale, dove per tradizione e cortesia si accomodava infine nel sonno la compagna di una notte del Marchese. Era un caro amico di Carlo Caracciolo, e fu a lungo suo sodale e ospite romano. Mi divertii quando, domandato che gli ebbi dove fosse sistemato a Roma, rispose: “Da Carlo”, e alla successiva domanda: “Da quanto tempo?” replicava serio e compassato: “Da diciott’anni”. Un’altra sera mi informai sulle sue vacanze. Era uomo litigioso e faceva tutto in punto di diritto, così rispose: “Sono stato due settimane al mare, sull’isola, con gli avvocati”. 

    Ho sempre pensato e scritto che Berlusconi, non Marchese ma Cavaliere, è stato in un certo senso obbligato a sbagliare, e che il suo sbaglio maggiore fu di comportarsi da imputato, di sovrapporre a un certo punto il mestiere del politico e dell’uomo di stato con quello del soggetto processuale titolare di una difesa tecnica, con ripercussioni politiche (a processi ad personam rispondo con leggi e atti politici ad personam). 

    Obbligato a sbagliare: che significa? Significa qualcosa di semplice: l’uomo nasce cresce e diventa grande nel privato, poi porta l’esperienza del privato, l’imprenditore e il politico che parla come parlano tutti, nella scena pubblica. Da sempre i partiti mediano con una loro tradizione e tecnica gli interessi. E fanno, di interessi, anche i propri. La crisi della Repubblica fondata sulla Costituzione del 1948 e sulla divisione dei poteri (autorizzazione delle Camere per indagini su un parlamentare), la grande retata e il Grande Terrore del 1993, provocarono questa felice anomalia: un privato che pretendeva di rappresentare direttamente e libertariamente il privato di milioni di persone, facendole partecipare direttamente alla politica, con una classe dirigente improvvisata e sempre in formazione, con un carisma personale non surrogabile da una forma-partito qualsivoglia. A quel punto, se l’outsider e Arcinemico con i beni al sole, cresciuto come nemico del monopolio della tv di stato nelle pratiche semilegali dell’intera industria e finanza italiana degli anni Ottanta, viene combattuto mediante l’abuso persecutorio di legalità, ecco il problema degli avvocati. Ce ne sono stati tanti e diversi, da Contestabile a Pecorella, da Ghedini a Coppi. Avvocati politicizzati, per una difesa dal processo come tutela dalla persecuzione legale, che irritavano le cupole castali del diritto corporativamente offese, e avvocati tecnici, che i giudici non stavano manco a sentire. Ma comunque, moderata o falca, la voce dell’avvocato ha cominciato a primeggiare, per obbligo ed errore, nell’entourage di Berlusconi. 

    Entro certi limiti, gli avvocati sono serviti a tenere aperta la strada della politica, delle elezioni, della protezione di un’esperienza pubblica e di governo. Onore a loro. Ma entro certi limiti, perché poi, alla resa dei conti, la miglior difesa possibile era quella politica, e la migliore delle migliori sarebbe stata una profonda riforma della giustizia, per tutti, che invece non arrivò mai e non era nell’interesse dei giudici, ovviamente, e forse nemmeno degli avvocati. Ora in questo intrico di paure, di cavilli, di infamie e di mascalzonate ai danni di un leader che si vuole estromettere con mezzi impropri dal campo di battaglia, riemerge la questione: faccio quel che mi dice il mio istinto e senso politico oppure faccio quel che mi suggerisce la coorte dei miei avvocati? Rovescio il tavolo perché mi prospettano la galera e ulteriori persecuzioni delle procure, in aggiunta al vulnus della sentenza Esposito? Oppure faccio pesare la mia indispensabilità e rilancio, secondo l’ipotesi Pannella, una battaglia generale preparandomi ad affrontare senza altro avvocato che non sia il consenso che raccolgo nel paese le conseguenze di quanto mi accade?

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.