Che cosa pensare, che cosa fare

Giuliano Ferrara

Nella natura dei rapporti politici (e umani) non si dà un’alleanza tra soggetti che si votano alla distruzione l’uno dell’altro. Sarebbe dunque un miracolo, una sospensione delle leggi della natura politica, se il governo Letta di larga coalizione riuscisse a sopravvivere a un voto del Senato per tagliare la testa a Berlusconi con lo strumento patibolare della famigerata sentenza Esposito. I due schieramenti non sono però sullo stesso piano, quello del reciproco annientamento, come scrivono i terzisti del Corriere.

Sardoni Così il Pd sulla decadenza del Cav. ritrova una coesione mai vista

    Nella natura dei rapporti politici (e umani) non si dà un’alleanza tra soggetti che si votano alla distruzione l’uno dell’altro. Sarebbe dunque un miracolo, una sospensione delle leggi della natura politica, se il governo Letta di larga coalizione riuscisse a sopravvivere a un voto del Senato per tagliare la testa a Berlusconi con lo strumento patibolare della famigerata sentenza Esposito. I due schieramenti non sono però sullo stesso piano, quello del reciproco annientamento, come scrivono i terzisti del Corriere. Intanto perché il paradosso vuole che il governo presieduto dal vicesegretario del Pd sia stato costruito da Berlusconi, in sintonia con il presidente della Repubblica, e sopportato come una sconfitta dal maggior partito della sinistra che ha pareggiato il risultato elettorale e si è diviso come partito e come coalizione invece di guadagnarsi la vittoria.

    Altrove e nel movimento berlusconiano si dovrebbe considerare che la testa di Berlusconi una parte del Pd vuole tagliarla per tagliare anche quella di Enrico Letta: è difficile non riconoscere in questa diagnosi un elemento di verità. Lo scopo di una parte della sinistra è di rinfocolare le tensioni e portarle al limite della rottura, la cacciata di Berlusconi dal Senato con un voto parlamentare che interpreta la legge Severino, dunque con un atto politico che non è un atto dovuto, un automatismo legale. I più melliflui tra questi rinfocolatori affermano che la questione si può risolvere con la eliminazione, perseguita invano da vent’anni, della leadership berlusconiana sul centrodestra. Ma sanno bene che questo sarebbe normale in una normale democrazia dei partiti, mentre è impossibile in una democrazia dell’alternanza che si è fatta e consolidata attraverso il carisma e l’opera politica di una persona la quale è il fondamento del suo stesso movimento e la garanzia della sua esistenza politica. La democrazia dei partiti “normale” è morta nel 1993, anno del Grande Terrore, al termine del quale nacque per restare il fenomeno anomalo del berlusconismo, con le sue promesse, i suoi errori, e con la perdurante forza di un rapporto diretto tra un leader e il suo elettorato, che fa eccezione rispetto alla regola del passato, quando chi era colpito dalla giustizia spicciativa e politicizzata perdeva il consenso popolare (Craxi, Andreotti).

    Ma c’è un altro punto dirimente, decisivo. Il voto parlamentare annunciato contro Berlusconi è un atto di piena e incontrollata sottomissione della sinistra (e del centro montiano, altro errore fatale) alla magistratura combattente, alla logica di prepotere che il giudiziario ha ostinatamente voluto affermare in questi vent’anni, stabilendo le sue alleanze, fiancheggiando partiti importanti, lobby editoriali e finanziarie e partitini mal messi, che hanno fallito il compito, come quelli dei Di Pietro e degli Ingroia. E’ la sconfitta della riflessione autocritica di un Luciano Violante, del realismo di tanti, compreso il Matteo Renzi di ieri, quello che voleva Berlusconi in pensione e non in galera, e magari un’Italia diversa ma non il livellamento politicamente corretto delle teste di milioni di italiani che al gioco al massacro non ci stanno. E’ una scelta strategica ispirata dal meschino interesse di bottega e di corrente di piccoli leader che non sanno impostare un serio discorso di corresponsabilità politica di fronte alla degenerazione della giustizia penale divenuta arma di guerra tra l’establishment e il grande outsider.

    Ora qualcuno, per esempio Michele Ainis in un elegante e coraggioso articolo nel Corriere di ieri (per non parlare delle ricorrenti opinioni libere di Angelo Panebianco), adotta le posizioni ultraminoritarie assunte da anni da questo giornale e da un paio di parlamentari come Luigi Compagna e Franca Chiaromonte, un liberale e una garantista di sinistra appartenente a una famiglia storica del comunismo italiano. La divisione dei poteri e la bilancia dei poteri è finita quando sotto la pioggia delle monetine, il temporale più funesto della intera storia repubblicana, un Parlamento intimidito dalle retate decise di abbattere il filtro costituzionale, l’articolo 68, che sottraeva all’ordinamento giudiziario il potere di selezionare la classe dirigente, dividendola in buoni e cattivi per azione penale e sentenza, e di espropriare la volontà e sovranità popolare. Quando Berlusconi e i suoi affermano che nell’assedio accanito delle procure alla leadership del loro schieramento c’è fumus persecutionis, c’è il sospetto e più che il sospetto di una volontà punitiva di tipo politico, nessuna persona informata e di buon senso può reagire con un’alzata di spalle. Saint Just diceva che un Luigi doveva morire perché vivesse la Repubblica, anche i giacobini più sanguinari e radicali non si permettevano di considerare “atto dovuto”, con linguaggio da modesti legulei, la decapitazione del loro Arcinemico. Cadeva la lama della ghigliottina ma non la pretesa di verità politica.

    Mi spiace per Enrico Letta, ma è una pretesa da mediocri ragionieri, non da capi politici, quella di mettere in cantiere le politiche disinteressandosi della politica (la differenza di scuola anglosassone tra policies e politics). E’ fingere di abitare in un altro paese. E’ una rinuncia alla leadership, che è un portare le cose con una visione non un lasciarsi trascinare dalle cose. L’incauto vertice di Cl a Rimini ha accettato e rilanciato questa disperante incapacità di esercitare coraggiosamente una guida politica, attraverso il solito piccolo dialogo con il potere costituito e con il suo titolare pro tempore, con l’aggiunta di una sua sentenza di morte politica verso il proprio leader e finanziatore e organizzatore di vent’anni, Roberto Formigoni. Formigoni non è la mia tazza di tè, ma quando dice che Andreotti fu ascoltato in religioso silenzio malgrado una condanna a ventuno anni per omicidio sulle spalle, dice il vero. Valeva la pena che Letta affrontasse la questione giustizia e il caso politico-giudiziario del momento, valeva la pena che Formigoni fosse invitato a un dibattito aperto e scandaloso sulla sua gestione del potere, errori compresi. Ma don Abbondio è non a caso un gran personaggio letterario di area lombarda, e per un Berlusconi famoso per la sua tenacia da quelle parti si danno evidentemente cento codardi che disconoscono il senso della misericordia, almeno sul piano politico.

    A chi dice che sarebbe stato meglio votare Prodi presidente della Repubblica rispondo che in quella eventualità il Quirinale non avrebbe mai emesso una nota, non dovuta, per dare dignità politica al caso Berlusconi, per escludere il carcere, per definirlo leader “incontrastato” di una componente decisiva della maggioranza di governo e del Parlamento repubblicano. Bisogna fare attenzione al cambiamento di voto con effetto retroattivo e alle parole autocritiche in libertà. Certo, i responsabili al massimo livello delle istituzioni, e non comprendo in questo novero i presidenti-vetrina del Senato e della Camera, dovrebbero fare un discorso di verità molto radicale al paese, dovrebbero impegnarsi a viso aperto contro l’idea che la sentenza Esposito rappresenti il normale compimento di un iter giudiziario ordinario, che non esista una gigantesca questione di sovranità della politica, che non sia un dovere nazionale ripristinare le condizioni della divisione dei poteri e di una giustizia giusta, a partire dall’amnistia.

    A parte questo, quale messaggio trasmette oggi al paese un leader che gode ancora di notevole fiducia popolare, che è stato condannato con sentenza definitiva temeraria, che non vuole mollare, per sua e nostra fortuna? Rompere e cercare di determinare la massima instabilità, alla ricerca di una legittima rivincita popolare ed elettorale, è rischioso ma possibile. In certi casi l’etica della convinzione, il mandare al diavolo le conseguenze delle proprie azioni, può perfino essere una saggia linea di comportamento politico. Ma farlo sul terreno costruito dall’avversario, concedergli la scelta dei modi e del tempo, questo è un altro discorso. Continuo a pensare che la forza di Berlusconi, anche ai domiciliari, anche nell’umiliazione formale del suo ruolo pubblico interdetto in forma violenta e leguleia, è la sua indispensabilità come leader effettivo della maggioranza di governo. Continuo a pensare che la scelta di una successione parlante, significativa e sicura, è prima o poi necessaria, e che niente ha forza nemmeno paragonabile all’entrata in politica di una giovane donna che è pupillo e fiore di un nome ancora molto amato. Però posso sbagliarmi, e vedremo come si mettono le cose. Pensavo di vivere l’ultima parte della mia esistenza in un paese riformato e pacificato, con un sistema istituzionale ricostruito sulla base della Costituzione del ’48 là dove difende l’autonomia della politica e del legislativo da ogni altro potere, ma forse è solo illusione minoritaria, come tante ne abbiamo coltivate di giornale appena maggiorenne.

    Sardoni Così il Pd sulla decadenza del Cav. ritrova una coesione mai vista

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.