Jacques Vergès

Giuliano Ferrara

Di Jacques Vergès, l’avocat de la Terreur secondo il titolo del film a lui dedicato da Barbet Schroeder, qui abbiamo raccontato e detto molto, nel passato anche recente. Liberilibri ha pubblicato i suoi ultimi opuscoli sulla giustizia. E’ morto a Parigi giovedì sera a 88 anni, poco prima di una cena con amici, nella casa – ha riferito l’editore Pierre-Guillaume de Roux – dove aveva abitato Voltaire. La cifra della sua esistenza avventurosa e solforosa come figura pubblica, e della sua notorietà internazionale, è semplice: resistenza con De Gaulle, appartenenza al Partito comunista, speciale carriera nell’avvocatura in difesa intercambiabile di eroi delle resistenze anticoloniali, di superterroristi e criminali di guerra.

Leggi l'intervista di Marina Valensise all'avvocato francese

    Di Jacques Vergès, l’avocat de la Terreur secondo il titolo del film a lui dedicato da Barbet Schroeder, qui abbiamo raccontato e detto molto, nel passato anche recente. Liberilibri ha pubblicato i suoi ultimi opuscoli sulla giustizia. E’ morto a Parigi giovedì sera a 88 anni, poco prima di una cena con amici, nella casa – ha riferito l’editore Pierre-Guillaume de Roux – dove aveva abitato Voltaire. La cifra della sua esistenza avventurosa e solforosa come figura pubblica, e della sua notorietà internazionale, è semplice: resistenza con De Gaulle, appartenenza al Partito comunista, speciale carriera nell’avvocatura in difesa intercambiabile di eroi delle resistenze anticoloniali (celebre il processo all’algerina Djamila Bouhired, che sottratta al patibolo in un dibattimento in cui fece ingresso la tortura, divenne poi sua moglie), di superterroristi come Ilich Ramírez Sánchez detto Carlos the Jackal e altri palestinesi combattenti (dirottatori, stragisti di israeliani), capi dei Khmer rossi imputati di genocidio, criminali di guerra come il nazista boia di Lione Klaus Barbie (e per completare il curriculum M. Vergès avrebbe difeso volentieri anche Milosevic e Saddam Hussein).

    Della vita straordinaria di questo uomo piccolo di statura, borghese figlio di un diplomatico e di una vietnamita che gli diede i suoi occhi e il suo sguardo enigmatico, fa parte anche un periodo di otto anni, dal 1970 al 1978, in cui gli riuscì di sparire completamente dalla vista del mondo, alimentando leggendari sospetti su legami neri con servizi e regimi autoritari, per poi fare ritorno come niente fosse nel teatro militante e mondano della capitale, mantenendo un rigoroso silenzio su quella parentesi di clandestinità che aveva stupito il gran mondo dell’avvocatura e delle professioni di Parigi e della società politica internazionale. Mistero insoluto e caso unico in occidente.

    Jacques Vergès non è tanto importante per aver difeso i cattivi, i cattivissimi; in fondo gli avvocati, anche i grandi, a questo servono e così tributano l’omaggio dei sistemi di diritto alla giustizia. M. Vergès fu preeminente, ma non l’unico che difendeva gli indifendibili, formula tipicamente radicale e liberale di ultragarantismo giuridico. Il suo scandalo è altrove.

    L’avvocato del terrore difendeva i suoi imputati nei processi, ma sopra tutto dai processi. Si occupava di legalità, questo totem verso il quale in modo spesso conformista si elevano preci e retoriche insignificanti, ma poneva sempre una questione di legittimità. Usava la storia, la politica, il realismo degli interessi, anche l’ideologia della lotta di classe o il dogma dei diritti umani, per riconfigurare a modo suo, con una sperticata abilità argomentativa, la stessa nozione di giustizia e perfino di umanità. E così non ha mai avuto senso domandarsi se avere ragione con Vergès, cosa virtualmente impossibile quando si tratti di terrorismo, di Shoah e di grandi crimini di regime come quelli cambogiani, ma era importante, almeno per noi che non siamo iscritti al registro del filisteismo di procura, comprendere senza pregiudizio banale il significato del suo militare nel torto, a difesa del torto.

    Quando sento il Conformista Collettivo, il CC, predicare il rispetto delle sentenze e dannare la difesa dal processo, ecco che penso a questa incredibile eppure indispensabile figura di avvocato e militante di una introvabile, e perciò necessaria, idea di giustizia. La storia del Novecento, con le sue brutture e con il suo estremo porre limiti a tutto, anche alla pretesa di esclusiva su umanità e verità, è stata raccontata anche dal piccolo Vergès nato in Thailandia o nel Laos, non si sa bene, cresciuto in un nido multiculturale all’isola della Réunion, vissuto negli agi della grande professione forense e nei tremendi labirinti di un oltranzismo garantista e illuminista, sempre nel dubbio e nell’enigma, tra ideologia, terrore e bel mondo. Esercitò in modo scandaloso un controllo etico superiore al controllo di legalità e dava l’impressione che sapesse quel che faceva.

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    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.