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La banca doma la speculazione finanziaria, chi domerà la nostra pigrizia?
Le strade affollate d’agosto 2013 non mentono. Anche i ristoranti pieni non mentivano, nonostante la semplificazione. Lo spread a 200 punti non mente. I dati sul contenimento relativo della disoccupazione sono anch’essi un pezzo di verità. La crisi speculativa è in ritirata, e può forse ripresentarsi a sorpresa. E’ esposto a ogni tipo di avventura il mondo unificato dei mercati, dei sistemi, delle culture, delle politiche finanziarie, degli apparati produttivi, della circolazione universale di uomini e merci: se un miliardo di persone sono uscite dalla povertà in vent’anni, questo è una splendida occasione di sviluppo, di giustizia e di speranza, ma anche un costo che qualcuno paga, in particolare con l’incremento della concorrenza che colpisce le pigrizie d’occidente.
Leggi anche Due o tre cose che so di Marina B.
Le strade affollate d’agosto 2013 non mentono. Anche i ristoranti pieni non mentivano, nonostante la semplificazione. Lo spread a 200 punti non mente. I dati sul contenimento relativo della disoccupazione sono anch’essi un pezzo di verità. La crisi speculativa è in ritirata, e può forse ripresentarsi a sorpresa. E’ esposto a ogni tipo di avventura il mondo unificato dei mercati, dei sistemi, delle culture, delle politiche finanziarie, degli apparati produttivi, della circolazione universale di uomini e merci: se un miliardo di persone sono uscite dalla povertà in vent’anni, questo è una splendida occasione di sviluppo, di giustizia e di speranza, ma anche un costo che qualcuno paga, in particolare con l’incremento della concorrenza che colpisce le pigrizie d’occidente. La bestia finanziaria però si può domare, come ha fatto magistralmente Mario Draghi nella zona euro, e senza spendere una lira dei contribuenti più forti, pericolo evocato dai mastini della Bundesbank quando vaneggiavano nelle spire di una mediocrità e meschinità che non onora il ruolo guida della Germania. Avevamo ragione noi, mi pare, quando scrivevamo che la cura del guasto finanziario poteva venire solo dalla finanza stessa, e non Giulio Tremonti, convinto che la lettera dell’agosto di due anni fa della Banca di Francoforte sia stata non un programma di governo ovvio ma un colpo di stato addirittura.
Resta la crisi strutturale con i suoi due fattori di spinta e amplificazione: la bassa produttività e l’alto debito pubblico. Lavoriamo poco, i posti di lavoro improduttivi nel pubblico e nel privato sono troppi, gli ammortizzatori sociali devono esistere ed essere strutturati come soluzioni provvisorie orientate al reinserimento nel lavoro (welfare to work, lo chiamava Tony Blair), e sono costosi, ma la verità è che un pezzo dell’economia pubblica e privata è diventato in sé un ammortizzatore sociale, un settore sostenuto e pagato da tutti che non produce ricchezza per tutti e perpetua illusioni più care e rischiose di ogni riforma. Avremo un autunno di nuove lotte corporative, con gagliardi sindacati impegnati a difendere redditi e posti di un’amministrazione che non ha ancora imparato a guadagnarsi la pagnotta. Sento le Camusso e i Bonanni tuonare a vuoto, ma minacciosamente, in difesa dell’esistente.
Guido Roberto Vitale in questo giornale, qualche tempo fa, ha detto che la nuova gestione del San Raffaele, complesso sanitario in grave crisi, ha posto ai fornitori questa alternativa: o accettate tagli del 30 per cento nei costi dei servizi che offrite oppure dobbiamo rinunciare ai servizi. Accettato. C’era grasso che poteva colare. Non dico che si debba fare copia e incolla, ma o si tagliano scuola, trasporti, sanità in misura considerevole, a partire dai costi improduttivi o da quelli gonfiati nel tempo dalle corporazioni, oppure non si avranno mai le risorse per il sostegno universale alla mobilità sociale, che è stato lo sforzo di Elsa Fornero, e per il taglio radicale delle tasse sul lavoro e sullo scambio di merci senza il quale l’Italia non ha alcuna possibilità di fare della ripresina trainata dalla Germania e dagli Stati Uniti una cosa seria e sua propria. Immenso è lo spazio reale, non ideologico, per una nuova ondata di privatizzazioni, che sia capace di promuovere di nuovo l’investimento di capitale, in Italia e dal mondo.
Abbiamo passato anni a chiedere che Marchionne facesse il buon italiano, che accettasse la regola della Fiom con il suggello della magistratura del lavoro e i complimenti di Confindustria, e volevamo insegnargli il mestiere, programmare noi nell’interesse cosiddetto generale lo sviluppo della impresa privata e libera chiamata Fiat: il risultato si sa, ed è una dichiarazione di impraticabilità industriale del mercato italiano, la fissazione della sede della nuova conglomerata dell’auto in Olanda, anche per ragioni fiscali sonanti, e il sempre più fantasmatico agonizzare del vecchio apparato insostenibile di Mirafiori e compagnia. Faremo lagna e sciopero e controllo di legalità anche contro il residuo di produzione dell’acciaio, specialità landiniana e televisiva, e nel mondo intanto si trasferiscono produzione, ricerca, innovazione, profitto e investimenti. Non so cosa ne pensi Enrico Letta, che temporeggia come un Moro invece di comportarsi come un moderno Andreatta, ma se chi è al timone non usa il linguaggio della verità non se ne esce, e come dice giustamente Aberto Bisin, il massimo sarà nel 2014 un pil che cresce dello zero quattro, dopo il lungo ciclo del resistibile declino italiano.
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