Come uscirne

Giuliano Ferrara

Dismal science, scienza triste secondo Thomas Carlyle. E si discute in quale senso usare questa definizione umanistica per l’economia. Risvolti sociali, antropologici, storici: l’homo oeconomicus si piega corrucciato e malinconico sui propri interessi realizzati e traditi. Oppure evitare di mettere le acquisizioni dell’economia all’indicativo, come suggeriva nel Corriere Maurizio Ferrera, perché il fallibilismo è l’anima dell’ipotetico economico (“C’è un modo per decidere chi ha ragione? Purtroppo no”). In sintesi: gli economisti dovrebbero essere i più ricchi tra gli umani, con certezza ormai algoritmica, invece fanno puntate al gioco come i mobilieri e i riccastri al Casino di Saint Vincent, vincono e perdono e s’infognano come i commessi viaggiatori.

    Dismal science, scienza triste secondo Thomas Carlyle. E si discute in quale senso usare questa definizione umanistica per l’economia. Risvolti sociali, antropologici, storici: l’homo oeconomicus si piega corrucciato e malinconico sui propri interessi realizzati e traditi. Oppure evitare di mettere le acquisizioni dell’economia all’indicativo, come suggeriva nel Corriere Maurizio Ferrera, perché il fallibilismo è l’anima dell’ipotetico economico (“C’è un modo per decidere chi ha ragione? Purtroppo no”). In sintesi: gli economisti dovrebbero essere i più ricchi tra gli umani, con certezza ormai algoritmica, invece fanno puntate al gioco come i mobilieri e i riccastri al Casino di Saint Vincent, vincono e perdono e s’infognano come i commessi viaggiatori. E allora diciamola tutta: in quanto economista io so, alla Pasolini profetico, e poi non so, alla Socrate filosofo, o meglio so di non sapere. In quanto uomo cerco di conoscere me stesso, mi guardo intorno, leggo racconti e romanzi e poesie, vedo gli amici, le famiglie, le abitudini, entro nella mente di bambini e  adulti, comparo la mia mente con la loro, commisuro fatti e fatterelli, metto nel bussolotto un po’ di numeri, imparo la geografia territoriale e storica, viaggio, m’informo per quanto possibile, allargo lo spazio di visione, m’inoltro nella “lunga durata” di Fernand Braudel, restringo il campo visivo per individuare il particolare, che è così diverso dallo stupidissimo dettaglio, infine giudico, e allora sì che l’economista diventa uno scienziato in senso umano, umanistico, e procede sulla scia del meraviglioso appello di Leon Wieseltier a non dimenticare l’essenziale del pensiero e del suo oggetto (pubblicato nel Foglio, 30 maggio scorso).

    Nessuno fornito di una metodica asseverativa è in grado di dirmi come si faccia mai a sdebitarsi e a crescere, crescere per sdebitarsi aumentando la propria ricchezza e sdebitarsi per non fallire (prima di ogni possibile crescita) sotto il peso della Schuld, debito e colpa, debito o colpa. Nessuno. Ma io so, profeticamente, perché cerco di conoscere me stesso, filosoficamente e storicamente. Lavoriamo abbastanza? Lavoriamo in modo competitivo con gli altri che lavorano in diverse condizioni in Europa e nel mondo? Siamo esposti a una concorrenza virtuosa, capace di stimolarci a fare meglio? Viviamo di rendita, in senso sociale? Siamo immobili o mobili, come socialità e abitudine? Mettiamo al primo posto l’epica della famiglia protettiva o quella dell’individuo operante? Siamo responsabili? Siamo liberi? Le parole del Papa sulla povertà, apologeticamente considerata come il segno carnale della presenza sofferente del Cristo tra noi, di che cosa sono immagine e a che cosa mirano? Devo convertirmi, d’accordo, ma allora a che cosa devo rinunciare? Il segno dell’elezione quale sarà mai nel pensiero religioso e cristiano? I gesuiti si sono universalizzati con un Conclave fatale, ma i luterani e i calvinisti e gli evangelici e le altre denominazioni occidentali moderne che cosa hanno da dirci?

    Il clima che seduce, i tempi lunghi, il sonno e la veglia, il fondo dell’anima, il vizio di essere sempre eguali a sé stessi, tutto concorre a spiegare industriosità, pigrizia, peccato, colpa, debito più delle ipotesi sulla crescita e sui conti in ordine. Gli umanisti efferati devono sapere qualcosa di economia, un gergo come gli altri, per parlare il linguaggio della verità che però è tondo, è un tutto, non una parzialità inverificabile. E su quella base vedrete che certi problemi si risolvono con semplicità: crescere cioè cambiare stile di vita in relazione all’obiettivo, se lo si ritenga degno, di espandere la nostra presa sulla realtà, entro certi limiti beninteso.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.