La povertà è dimezzata nel mondo, ringraziamo l'interesse particolare, altro che

Giuliano Ferrara

L’Economist cita Onu e Banca Mondiale, dati e cifre sul quarto di secolo appena trascorso, e annuncia il dimezzamento della povertà nel mondo. Dice anche che abbiamo imparato a combattere la povertà, il che è un buon auspicio per il futuro del capitalismo e della globalizzazione. Il profetismo cristiano-sociale, sul quale il Papa gesuita dovrebbe esercitare una occhiuta sorveglianza, vuole beati i pauperes; e va bene ma con misura, mi raccomando, sennò si finisce come con i rischi fatali di Tremonti.

    L’Economist cita Onu e Banca Mondiale, dati e cifre sul quarto di secolo appena trascorso, e annuncia il dimezzamento della povertà nel mondo. Dice anche che abbiamo imparato a combattere la povertà, il che è un buon auspicio per il futuro del capitalismo e della globalizzazione. Il profetismo cristiano-sociale, sul quale il Papa gesuita dovrebbe esercitare una occhiuta sorveglianza, vuole beati i pauperes; e va bene ma con misura, mi raccomando, sennò si finisce come con i rischi fatali di Tremonti. La Cgil, avida di catastrofi che giustifichino la sua funzione, ci dice che ci vorranno sessantatre anni per ripristinare la base lavorativa perduta e un decennio per rifare il prodotto interno lordo del 1977. Una boccata d’ossigeno ce l’ha data Ignazio Visco, il governatore della Banca centrale italiana. A una platea mondana e furba, come al solito, ha annunciato verità molto poco mondane: le imprese non investono i loro stessi profitti, e i capitali propri, come dovrebbero, non innovano, e la recessione non è dovuta se non in parte dall’aggiustamento dei conti fatto da Monti, perché per due terzi dipende dalla crisi del commercio internazionale e dalla drammatica rigidità del credito. Il sistema bancario deve ristrutturarsi ancora e all’Mps non è successo niente di colossale, nessuno scandalo più grande del mondo, solo episodi di mala-amministrazione monitorati e sorvegliati dall’Istituto centrale e ingigantiti per gola dal sistema mediatico-giudiziario impazzito. Per il resto, i dati su lavoro, prodotto lordo e capacità produttiva, va tutto piuttosto male, e la politica, che non ha tutte le colpe e soprattutto non ne è titolare esclusiva, dovrebbe mediare meglio l’interesse generale e l’interesse particolare (a parte le riforme di Monti che sono state fatte, e bene, ma non applicate dalla pubblica amministrazione e da quanti avrebbero la responsabilità di tradurle in norme attuative e regolamenti). Al quadro d’insieme disegnato da Visco, che è uno schiaffo meritato alla esilità concettuale e sindacale e politica della relazione di Squinzi in Confindustria, elusiva e generica, mi sentirei di fare un’obiezione di fondo. Bisogna scegliere. Il problema italiano non è l’interesse generale. Non più, ora che la prospettiva greca è stata evitata e ci si potrebbe teoricamente impegnare per creare ricchezza, cercando e impegnando al meglio nuove risorse, e detassando di brutto il lavoro. Il problema italiano è l’interesse particolare. Nessuno lo promuove. E’ mal tollerato. E’ civilmente e culturalmente considerato uno sposo della colpa. E’ descritto come un lascivo privilegio dei ricchi, ai quali si consente di stare con le mani in mano e consumare i capitali propri in nome dell’interesse generale che dallo stato dipende, dal pubblico è regolato. La piccola bottega è archeologica, il titolare aspetta che il governo risolva il suo problema, non gli viene neanche in mente – in media – di avere in proprio una responsabilità di conduttore del business e di potere migliorare la propria condizione attivando nuove energie e progetti. Basta passeggiare per una qualsiasi città americana o asiatica o sudamericana, e a quanto dicono oggi perfino in una strada della Grecia che cerca di risollevarsi dalla recessione, per capire che l’interesse particolare o è l’evasione e l’elusione fiscale, la concorrenza sleale e il tirare a campare, oppure è una molla dello sviluppo economico. Ci saranno i sommersi e i salvati, nel senso che tutta un’area di business deve andare in pensione ed essere sostituita da altro, con ammortizzatori sociali e famigliari e previdenziali che funzionino, allo scopo di rimettere al centro il profitto di impresa e la creazione di lavoro. Ma senza questo squilibrio attivo resteremo quella società passiva, invecchiata, improduttiva, che siamo diventati. E allora, altro che decenni di attesa. La ripresa sul conto dello stato tutore non verrà mai, in un mondo in cui gli altri dimezzano la loro povertà a nostre spese di europei impigriti e bolsi.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.