Francesco, il denaro e la vita indecente

Giuliano Ferrara

Papa Francesco è semplice e bello, come Ratzinger è stato semplice e bello. La differenza sta nell'attitudine “politica” (in gergo cattolico si dice: pastorale) del capo di una chiesa che vive nella tempesta del secolo, e che si vale dell'esperienza e della fede moderna ignaziana, e questo è Francesco; ovvero nel sale aristocratico di un pensiero teologico forte, che penetra nel profondo delle cause intellettuali e morali del modo di essere uomini e donne in questo tempo e in tutti i tempi, e questo è stato Benedetto. Il semplificatore collettivo potrebbe dire: per otto anni Benedetto ha giudicato, ora Francesco assolve e fa di Cristo l'avvocato difensore di un'umanità che, grazie a lui, può tornare a imparare l'arte di chiedere il perdono di Dio. Non è così, con ogni evidenza.

Matzuzzi Francesco duro con i mercati signori del mondo, ma va letto bene

    Papa Francesco è semplice e bello, come Ratzinger è stato semplice e bello. La differenza sta nell’attitudine “politica” (in gergo cattolico si dice: pastorale) del capo di una chiesa che vive nella tempesta del secolo, e che si vale dell’esperienza e della fede moderna ignaziana, e questo è Francesco; ovvero nel sale aristocratico di un pensiero teologico forte, che penetra nel profondo delle cause intellettuali e morali del modo di essere uomini e donne in questo tempo e in tutti i tempi, e questo è stato Benedetto.
    Il semplificatore collettivo potrebbe dire: per otto anni Benedetto ha giudicato, ora Francesco assolve e fa di Cristo l’avvocato difensore di un’umanità che, grazie a lui, può tornare a imparare l’arte di chiedere il perdono di Dio. Non è così, con ogni evidenza. La gioia del perdono, della penitenza, dell’espiazione nella carità cristiana è stata la gioia anche di Benedetto e del suo predecessore, e in un senso alto di tutti i pontefici capaci di esercitare una vera autorità. Il giudizio è anche in Francesco, il gesuita che crede nella libertà e nel relativismo cristiano, e l’autorità del giudicare, per essere meno apodittica e istruttiva, non è meno chiara: si presenta come esercizio, proposta, sollecitazione, definizione di confini oggettivi, il cui riconoscimento è affidato alla libera determinazione degli uomini e delle donne, ma in ultima analisi alla loro conversione (concetto non soltanto confessionale, come ognun sa).

    Oggi gli osservatori diranno che Papa Francesco, impasto di Assisi e spirito della Compagnia, parlando agli ambasciatori le ha cantate chiare al capitalismo, alla tirannia del denaro, alla dimensione finanziaria del sistema fondato sui mercati potenti, arbitrali, aperti, misuratori e regolatori per l’essenza di ricchezze e povertà. E’ vero in un certo senso e, come ha detto di sé stesso il vescovo di Roma: “Il Papa ama tutti, ricchi e poveri; ma il Papa ha il dovere, in nome di Cristo, di ricordare al ricco che deve aiutare il povero, rispettarlo, promuoverlo”. Lo stesso vale per il concetto tomista di bene comune (Rodotà non era ancora nato) e per le tirate patristiche contro il grande latrocinio di vita che è la ricchezza detenuta in un mondo di povericristi. Ma c’è altro.
    La radice della crisi, che peraltro a giudizio del Papa riguarda un mondo che ha saputo migliorarsi con “risultati positivi che concorrono all’autentico benessere dell’umanità, ad esempio nei campi della salute, dell’educazione e della comunicazione”, è nella concezione dell’uomo o antropologia oggi diffusa, che porta miliardi di esseri umani alla “disperazione” e a una “vita indecente e violenta”. Il grande accusato è la “cultura dello scarto” che combina il consumo di beni come idolo e l’idolatria del consumo della persona stessa intesa come oggetto. La tirannia del denaro, che in quanto tale è un buon servizio alla società diventato un totem al quale ci si inchina reverenti e incuranti della dimensione trascendente dell’esistenza (per i cristiani è la fede nel Dio incarnato), è l’altra faccia della manipolazione della vita, dello scarto dei viventi e dell’umano, che accompagna lo spreco delle risorse e l’ineguale distribuzione del pane o se preferite delle merci.

    Qui servirebbe, in una prospettiva storica e laica, un supplemento di riflessione, che nella “Caritas in veritate” e negli orientamenti pastorali di Giovanni Paolo II e della Cei di Camillo Ruini c’era: quale sistema sociale può garantire al meglio la propria autocorrezione, e insieme la testimonianza libera, nel privato e nello spazio pubblico, della dimensione trascendente dell’esistenza? Non il sistema egualitario dei grandi miti derivati dalla Rivoluzione francese, non il sistema comunista fondato sull’analisi hegeliana e marxista della storia universale: solo il sistema nato dall’Illuminismo dei Padri Pellegrini americani e dalla filosofia liberale, solo il capitalismo, offre quella garanzia. Con tutte le sue brutture, i suoi impedimenti e i suoi risultati squillanti.

    Matzuzzi Francesco duro con i mercati signori del mondo, ma va letto bene

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.