Scriveteci la vostra sul governo Letta: il migliore vincerà due cartoni di lambrusco

Giuliano Ferrara

Incominciamo con le domande. In molti si domandano: ce la farà il governo Letta? Il primo risvolto è: ce la faremo a tirarci fuori dai pasticci realizzando qualcosa di buono almeno nei prossimi tre anni, che è il periodo minimo per un serio impegno? Su che cosa è possibile che forze diverse si intendano al di là del disprezzo antropologico, delle differenze etiche reali, degli stili stellarmente separati di vita e di prassi pubblica e privata? Chi avrà la risposta più convincente, a insindacabile giudizio di una giuria composta dalla intera redazione del Foglio, otterrà un premio fissato in due cartoni di buon Lambrusco.

I manoscritti (non più di 4.000 battute spazi inclusi) e le proposte d’intervista devono essere indirizzati a largheintese AT ilfoglio.it. Astenersi perditempo e mozzorecchi.

Merlo Strette intese e larghe incognite

    Incominciamo con le domande. In molti si domandano: ce la farà il governo Letta? Il primo risvolto è: ce la faremo a tirarci fuori dai pasticci realizzando qualcosa di buono almeno nei prossimi tre anni, che è il periodo minimo per un serio impegno? Due sono le preoccupazioni generali di fondo, ovviamente: primo, lo stato dell’economia, gravata non tanto e non solo dall’austerità ma dalla bassa produttività del lavoro e delle imprese, con la conseguente stagnazione che viene prima della crisi finanziaria dei conti pubblici e della recessione inevitabile; secondo, il dubbio è se ci sia la capacità di riformare il sistema e bonificarlo, a partire dalla legge elettorale inefficace e impopolare, dal malfunzionamento del Parlamento bicamerale, dai costi della politica considerati onerosi dall’opinione pubblica e altri cambiamenti costituzionali, partendo dalla forma di governo. Preoccupazione politica generale delle persone avvedute è poi questa: sarà il governo Letta un esecutivo di banale transizione al nulla, con una maggioranza non credibile o per dirla con l’ideologo Sergio Cofferati “blasfema”, in attesa di nuove elezioni con il distacco della spina e la solita rincorsa demagogica pasticciata? E’ in atto soltanto una breve tregua senza importanza nella guerra dei vent’anni intorno al nodo moralismo&berlusconismo, che si avvia alla durata della più celebre guerra dei trent’anni (1618-1648) chiusa dalla pace di Westfalia?

    Ci sono poi le preoccupazioni particolari, altrettanto importanti in politica, per non dire di dettagli minori. Ce la farà Berlusconi a districarsi nella selva dell’accanimento giudiziario che lo riguarda? Ce la farà il centrodestra a mantenere l’aplomb di una forza di governo seria e responsabile, che non subisce e non infligge danni inutili e faziosi dalla e alla controparte, e così realizza un rapporto nuovo con il paese, fondato non soltanto sul carisma reattivo e militante del torreggiante e solitario Berlusconi? Oppure, sull’altro versante. Ce la farà il Pd a riprendersi, con o senza una scissione, uno spazio che sarebbe suo, quello di un partito progressista e riformista a vocazione maggioritaria, che fa la classica lotta su due fronti, contro il centrodestra e contro le derive neopuritane o narrativiste di una sinistra classista e ideologica di vecchio stampo? Ce la farà a darsi una leadership integralmente nuova, che coaguli il famoso amalgama non riuscito su una base di credibile riformismo politico ed economico, senza cessare di rappresentare interessi consolidati del mondo del lavoro dipendente e dei ceti medi di una vasta area produttiva del paese? Ce la farà la borghesia confindustriale a diventare una classe dirigente e non una corporazione gretta e impotente? E il sistema mediatico è consegnato per sempre alla demagogia anticasta, al frazionismo antipolitico, al mascheramento degli interessi proprietari dei suoi editori sotto le mentite spoglie della lotta del bene contro il male, la magistratura politicizzata aiutando e spesso dirigendo addirittura la danza?

    Sulla base dell’inizio del governo Letta, che di per sé è un rilevante fatto storico, una “prima volta” repubblicana, una forzatura in stato di necessità ma anche una possibile prospettiva diversa da quella dei due decenni trascorsi, la risposta a queste domande e preoccupazioni è negativa. Ci domandiamo perché è negativa. E la risposta è abbastanza semplice. Manca una missione che accomuni la maggioranza che ha votato la fiducia. Le culture di riferimento possono e devono restare differenti e anche divergenti, questo è ovvio. Ma l’obiettivo strategico comune di un’operazione comune non può mancare. Se non c’è una piattaforma di convergenza politica tra le forze che hanno varato il governo sotto la dettatura culturale del discorso di Napolitano sul principio di realtà, e nel pieno di una crisi da inconcludenza, tutto è destinato a sfilacciarsi in breve tempo, e quello Letta sarà di nuovo, forse dopo un breve inizio in istato di grazia (forse, molto dubitativo questo forse), un passo incerto verso il nulla dei calcoli particolari più gretti, meno lungimiranti, autolesionistici per l’insieme della classe dirigente, nessuno escluso.

    Con questa analisi piatta, forse anche timida e persino banale, vorremmo aprire un dibattito serio (scherziamo spesso con goduria, stavolta no) sulla prospettiva che si apre agli italiani nella presente circostanza di piccola o grande coalizione che dir si voglia. Su che cosa è possibile che forze diverse si intendano al di là del disprezzo antropologico, delle differenze etiche reali, degli stili stellarmente separati di vita e di prassi pubblica e privata? Chi avrà la risposta più convincente, a insindacabile giudizio di una giuria composta dalla intera redazione del Foglio, otterrà un premio fissato in due cartoni di buon Lambrusco. Si tratta dunque di scrivere, di proporre, di farsi intervistare con l’obiettivo, mediante un concorso privato di idee, di realizzare il massimo possibile di bene pubblico. Grazie.

    I manoscritti (non più di 4.000 battute spazi inclusi) e le proposte d’intervista devono essere indirizzati a largheintese AT ilfoglio.it. Astenersi perditempo e mozzorecchi.

    Merlo Strette intese e larghe incognite

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.