I due ragazzi ceceni che hanno messo le bombe a Boston

Luigi De Biase

La strage di Boston è cominciata in Cecenia, ma non è la Cecenia della lotta fra i ribelli islamici e i soldati russi, non è un colpo fuoricampo dei terroristi che combattono contro Vladimir Putin e non è neppure il Caucaso di Beslan. E’ una Cecenia da periferia americana, somiglia più a una storia di profughi che di guerra santa, di terroristi fai da te arruolati per una battaglia che non esiste. Giovedì pomeriggio la polizia americana ha annunciato i nomi dei due sospetti principali per le bombe alla maratona di Boston: due fratelli d’origine cecena, Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, che vivono negli Stati Uniti da una decina d’anni.

    Mosca. La strage di Boston è cominciata in Cecenia, ma non è la Cecenia della lotta fra i ribelli islamici e i soldati russi, non è un colpo fuoricampo dei terroristi che combattono contro Vladimir Putin e non è neppure il Caucaso di Beslan. E’ una Cecenia da periferia americana, somiglia più a una storia di profughi che di guerra santa, di terroristi fai da te arruolati per una battaglia che non esiste. Giovedì pomeriggio la polizia americana ha annunciato i nomi dei due sospetti principali per le bombe alla maratona di Boston: due fratelli d’origine cecena, Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev, che vivono negli Stati Uniti da una decina d’anni. Prima di avere un nome e un cognome, gli agenti li chiamavano soltanto “Sospetto numero uno” e “Sospetto numero due”.

    Il “Sospetto numero uno”, Tamerlan Tsarnaev, è morto giovedì notte in uno scontro a fuoco con la polizia: aveva 26 anni, tutto lascia pensare che abbia passato la prima parte della sua vita in Cecenia e che abbia lasciato quella regione insieme con la famiglia a metà degli anni Novanta. A questo punto le tracce della famiglia Tsarnaev si fanno più leggere, passano la Turchia, scompaiono di nuovo, si trovano in Kazakistan e nella Repubblica del Kirghizistan, dove qualcuno ricorda ancora Tamerlan, dice che abitava in un villaggio chiamato Tokmok, vicino a una fabbrica di zucchero, e che se n’era andato dieci anni fa per raggiungere altri parenti negli Stati Uniti. Poi la famiglia si sgretola, il padre torna a vivere nel Caucaso, una sorella si trasferisce nel New Jersey e dice di non sapere nulla.
    Tamerlan praticava arti marziali a Boston, era un atleta e un amico di nome Jon K. lo descrive oggi come un tipo intelligente, un po’ spocchioso ma amichevole, dice che parlava bene l’inglese anche se aveva l’accento russo. In una foto si vede il giovane in palestra che s’allena con una compagna, nell’immagine si difende a torso nudo, ha un paio di calzoni larghi e le scarpe per la lotta. La didascalia dice: “Sono religioso, non mi tolgo quasi mai la maglietta, non vorrei dare un’idea sbagliata alle ragazze”. Sulla pista della fede avanza anche l’Fbi: la pagina YouTube di Tamerlan è una piccola guida al jihad, ci sono video di predicatori sunniti, lezioni sull’islam, resoconti sulla guerra in Cecenia e sui crimini commessi da Kadyrov.

    Il “Sospetto numero due” è il fratello minore di Tamerlan, si chiama Dzhokhar, ha 19 anni e in queste ore è il ricercato numero uno d’America. Centinaia di poliziotti e di uomini delle squadre speciali lo hanno cercato per tutta la notte in una zona grande venti isolati ma ancora non sono riusciti a prenderlo. Il giorno della strage di Boston portava un cappello bianco, nelle foto diffuse nei notiziari tv appare poco distante da Martin Richard, il bambino di otto anni che è morto nell’esplosione. In queste ore la sua fuga è un rompicapo per gli investigatori, a Watertown la polizia setaccia ogni strada, bussa a ogni porta, parla con i famigliari, cerca di capire se c’è qualcuno che aiuta il ragazzo (l’aiuto fra uomini che hanno lo stesso sangue, anche in casi come questo, anche in un mondo così lontano dal Caucaso, è una legge nella cultura cecena). I giornalisti dell’Ap sono riusciti a raggiungere il padre dei fratelli Tsarnaev nella città sperduta fra le montagne del Caucaso in cui oggi vive, e quello ha detto candidamente che il figlio più piccolo “è un angelo”, che qualcuno deve averlo fregato, che il ragazzo non sarebbe capace di compiere un’azione simile.

    Dzhokhar non ha mai vissuto in Cecenia e non hai mai visto la guerra di persona. Da una decina d’anni vive alla periferia di Boston, ha terminato le scuole superiori con una borsa di studio e si è iscritto alla facoltà di Medicina. Aveva una compagnia d’amici, qualcuno ricorda di averli soprannominati “i fattoni”, ascoltava Shaggy e un suo successo dal titolo “Hey sexy lady”, diceva di essere musulmano, ma a giudicare dai messaggi lasciati su VKontakte, la versione russa di Facebook, aveva le idee abbastanza confuse al riguardo. Sulla stessa pagina c’è un video girato negli anni Novanta a Grozny, si vede un bambino che piange subito dopo un’esplosione spaventosa, alcuni lì intorno cercano di spegnere le fiamme su corpi straziati di uomini e donne, ma l’unica voce che si sente è quella del bambino che strilla e chiede aiuto. Dzhokhar non aveva visto la guerra di persona, forse non è mai stato a lungo neppure in Cecenia, ma è possibile che abbia ricostruito tutto quanto dentro di sé, con i filmati che si trovano su Internet e i racconti di famiglia, e abbia mischiato quel terrore alla sua storia di profugo, di ragazzo senza una patria precisa, di ventenne spaesato e diviso fra vite diverse. Da Grozny, il teatro di due guerre terminate negli ultimi anni, dicono che i fratelli Tsarnaev non hanno alcun rapporto con il paese: il portavoce del presidente ceceno, Ramzan Kadyrov, è stato ancora più netto, ha spiegato che i due “non hanno mai vissuto qui, quindi bisogna parlare con chi li ha cresciuti per sapere se hanno preso una brutta piega”.

    Da fonti vicine ai servizi segreti si capisce che Tamerlan e Dzhokhar erano due sconosciuti prima di ieri, anche se alcune fonti dicono che Tamerlan è stato in Russia sei mesi, nel 2012. Persino i terroristi sembrano sorpresi nel sentire così spesso la parola “Cecenia” alla Cnn: “Dzhokhar ha scritto su VKontakte che è interessato soprattutto a soldi e denaro – è il commento dei ribelli sul loro sito – Non si può certo dire che abbia il profilo del jihadista”. Lo zio del ragazzo vive a metà strada fra Washington e Baltimora, oggi racconta che i due nipoti sono “degli sfigati” e prega il più giovane di tornare a casa: stai disonorando il tuo popolo. Il giorno della strage Vladimir Putin ha inviato un messaggio di condoglianze a Barack Obama, ma ieri sera ha ricordato che i terroristi non hanno nazionalità, e che l’islamismo maturato in Cecenia non dovrebbe essere considerato come un problema della sola Russia (gli Stati Uniti hanno inserito i ribelli ceceni nelle loro liste nere soltanto negli ultimi anni). Il punto è capire che ruolo abbiano l’islam e la guerra del Caucaso nell’attentato dei fratelli Tsarnaev.

    Oliver Bullough, un reporter inglese che era in Cecenia negli anni 90 ed è oggi un autore molto popolare in Gran Bretagna (il suo ultimo libro s’intitola “The last man in Russia” ed è in cima alle classifiche del Guardian), dice al Foglio che i fatti di Boston devono essere analizzati senza luoghi comuni. “La Cecenia non ha un’influenza diretta sulla storia dei fratelli Tsarnaev – spiega Bullough – In questa vicenda s’intrecciano due fattori, da una parte ci sono i tormenti di due ragazzi che hanno lasciato il loro paese d’origine a causa della guerra, dall’altra lo stato di isolamento nel quale vivono milioni di rifugiati. A Boston non c’è un attacco dei ribelli ceceni contro gli Stati Uniti, è piuttosto un mix di Beslan e Columbine”. Per Bullough, è molto probabile che i due attentatori abbiano progettato e portato a termine il loro piano senza alcun aiuto. “Non credo che ci sia un secondo livello. Gli ordigni che sono esplosi durante la maratona sono rudimentali, chiunque sia stato in una zona di guerra sa che si possono costruire facilmente, e oggi le istruzioni si trovano su Internet. Non ho mai costruito una bomba, ma penso che non richieda una grande preparazione”. Forse è davvero questo intreccio ad avere generato i terroristi di Boston.