
Il vincitore morale
Renzi alla fine ha fatto un onesto e benintenzionato pasticcio
Giusto non fare il capocorrente. Segno di lodevole superbia, di aspirazione a un ruolo più incisivo, più legato alla misura specifica della democrazia elettorale che all’ambiente partitico e d’apparato. Giusto tornare a Firenze, uno non può fare il sindaco per finta, specie in una città rissosa, becera ed elegante, e giustamente pretenziosa, come la città di Dante e dei Medici. Giusto segnare una distanza della leadership personale emersa nelle primarie del Pd dall’esercito degli aspiranti a una retribuzione d’impegno e di peso politico. Tutto bene. Buone intenzioni.
Giusto non fare il capocorrente. Segno di lodevole superbia, di aspirazione a un ruolo più incisivo, più legato alla misura specifica della democrazia elettorale che all’ambiente partitico e d’apparato. Giusto tornare a Firenze, uno non può fare il sindaco per finta, specie in una città rissosa, becera ed elegante, e giustamente pretenziosa, come la città di Dante e dei Medici. Giusto segnare una distanza della leadership personale emersa nelle primarie del Pd dall’esercito degli aspiranti a una retribuzione d’impegno e di peso politico. Tutto bene. Buone intenzioni. Giuste valutazioni di un “vincitore morale”, uno che ha raccolto un consenso possente su idee non banali e da sempre minoritarie, vincendo in un paio di regioni rosse, con pochi mezzi, contro regole inventate ad hoc, ad personam, e contro ammiccamenti vergognosi a un’estraneità personale del giovanotto in fregola rispetto alla tradizione esoterica del partito, per non parlare della bassezza sulle Cayman. Tutto perfetto.
Però adesso Matteo è a Firenze a fare il suo dovere, e con ritardo è scattato un invito a pranzo regale di Bersani, nel corso del quale il numero uno Pd concede a Renzi un ruolo in campagna elettorale, e sia. Però il numero due di Renzi a Bergamo l’hanno trombato, il professor Ichino, strategica figura di riferimento dell’avventura, è andato con Monti, Baricco torna nella sua casa letteraria, e se vogliamo dirla tutta Bersani ha inflitto a Renzi, con le primarie ben congegnate per la scelta dei parlamentari e l’attivismo dei giovani turchi d’apparato, anche una lezione di rottamazione come la sanno fare i capi dei partiti, cioè ben guidata dall’alto, piena di deferenza verso le vecchie forme e regole, con un linguaggio e procedure tali da perpetuare il potere costituito attraverso una sapiente amministrazione anche del potere costituente.
Insomma, checché ne dicano i renziani, che non capiscono un tubo di politica, neanche a 140 caratteri a botta, il sindaco si sarà reso conto da solo del fatto che il suo 40 per cento al ballottaggio e la sua iniziativa politica di massa, spettacolare e significativa, sono rifluiti in un limbo di irrilevanza politica, e di scarso peso specifico, dal quale sarà possibile forse uscire solo con una miracolosa resurrezione personale di Matteo, nell’anno del quinto centenario del “Principe” di Machiavelli. Se uno ha quasi la metà decisiva dell’elettorato primario con sé, come aveva la figura di Renzi con le sue idee, se la gioca più seriamente e con risultati meno effimeri. E’ bello essere amati, certe volte è meglio essere temuti. Questa è la nostra impressione.


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